giovedì 4 luglio 2013

Prime banalità

Miao a tutti! Chi vi scrive stavolta è il terzo coautore del blog, quello che non scriveva perché fino a 2 minuti fa non aveva l’ispirazione e che spera di trovarla entro le prossime 3 o 4 righe prima di cancellare tutto.
Non aspettatevi capolavori, né formule da nerd, ma nemmeno boiate colossali. Aspettatevi piuttosto le nostre passioni buttate su post scritti nel tempo libero; aspettatevi la quotidianità, l’attualità, la tecnologia (vedi Angelo).Aspettatevi un punto di vista, una visuale su un mondo che cambia ad una velocità pazzesca e ci trascina come un fiume in piena verso l’ignoto. Insomma una fotografia, come dice Marian.
Tutti si aspettano che parlerò di musica. Ma anche no. La musica la si consiglia, la si suona, la si ascolta, la si vive. Parlarne è riduttivo, il mio entusiasmo per il blues non potrà mai eguagliare un “let ring” di Mark Knopfler, un assolo di Jimi Hendrix o un bending di Clapton. La musica non si impone e non è un caso che negli ultimi 60 anni è stata l’espressione della libertà d’arte per eccellenza.
Oggi è 4 luglio, festa dell’Indipendenza americana. Oggi ho scritto una frase su Facebook “L'indipendenza degli Stati Uniti è l'inizio della fine dell'indipendenza di molti altri Stati”. Avrei dovuto scriverla così : “L’indipendenza americana comincia lì dove finisce quella di molti altri Stati”. Questa frase voleva essere di  spunto per un dibattito che non è nato. Non so perché ma ho pensavo agli starnuti abortiti di Totò. Sapete che sono un grande utente di Facebook. Pubblico di tutto, scrivo cazzate, promuovo musica (quella buona la tengo per me). Ormai su Facebook preferisco evitare di scrivere cose “serie” perché -come sosteneva oggi Vittorio- è un posto dove vige “la dittatura della stupidità”. (In realtà si riferiva ad altro, ma mi piace come espressione). La realtà virtuale che prende il sopravvento su quella reale. Litigate in commenti, tentativi di rimorchio convertiti  in “Mi piace”, sentimenti tramutati in codice binario, scambi di opinioni che finiscono quasi sempre nell’incomprensione di chi vuol avere ragione.  Tutto è “spiaccicato” su uno schermo, tutto visibile dall’altroaparte del mondo, che sia un parente o uno sconosciuto. La domanda che mi pongo ogni giorno è “Cosa ci sto a fare?” A volte vorrei cancellarmi, ma poi rinuncio perché mi dispiace perdere diversi ponti di stima/ammirazione/dialogo/culturali che ho costruito col tempo con alcune persone che non potrei contattare diversamente (se non con altri social network). Così rimando ormai da tempo il cancellare i “contatti mai contattati” o me stesso.  L’unica cosa che mi impongo ogni volta che mi connetto su Facebook  (giovedì sera esclusi) è di non cadere nella banalità di ridurre ogni cosa, come si tende a fare sui social network, ad un “Mi piace/Non mi piace più”. Perché anche una foto in bianco e nero, se ci pensate bene, è una foto a colori: quelli essenziali. 


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