Come annunciato qualche ora fa,
sul blog ci sarà un appuntamento fisso (e ovviamente questa cosa è aperta anche
agli altri autori) e sarà relativo al cinema. Questo appuntamento vorrà essere
un po’ una recensione, un po’ un consiglio, come di quelli che si darebbero tra
amici, un po’ uno spunto di riflessione per chi il film lo ha già visto e vuole
condividere sfumature, piccoli significati e riflessioni che portano ad
apprezzare molto di più il film in questione.
Ok, ho capito, ho già scritto un post
poco tempo fa, però questo è diverso, quindi sorbitevi un po’ di questa
pappardella, e poi magari vi viene in mente di vedere il film che vi consiglio,
e vi invito a commentare questo post.
Il film di cui vi parlo oggi ha
un titolo che tutto farebbe intuire, fuorché un film di un livello davvero
molto alto: La mia vita è uno zoo (tratto da una storia vera).
Il titolo porterebbe a pensare
che si tratti di uno di quei film un po’ stupidi, e invece no. È un film di una
delicatezza fuori dal comune, un film che già a partire dalla fotografia, dai
colori utilizzati ti porta nel caldo abbraccio di un gruppo-famiglia come
quello protagonista del film.
Brevemente la trama (ancora grazie a wiki ;) )
Sconvolto dalla morte della
moglie, Benjamin Mee decide di rivoluzionare la propria vita e quella dei
figli, lasciando il (redditizio) lavoro di reporter e decidendo di cambiare
casa. Ma c'è un problema: la casa "ideale" che lui sceglie si trova
in un vecchio e decrepito zoo, completo di 200 animali esotici e "lontano
9 miglia dal negozio di alimentari più vicino". La casa, per contratto, può essere acquistata solo da
un acquirente che prometta di mantenere attivo lo zoo. Nonostante i numerosi
imprevisti (economico-finanziari, di gestione famigliare ed elaborazione del
lutto), Ben e i due figli riusciranno con tenacia a rendere presentabile lo
zoo, in quella che a tutti gli effetti si tramuta in una sfida che si carica di
ben altri significati (il tutto con l'aiuto di una stravagante compagnia di
inservienti, capeggiata dal personaggio di Scarlett Johansson).
Il film così relegato nelle poche
righe di una trama scritta da qualcuno sembra essere davvero un film qualsiasi,
ma fidatevi che non lo è. L’avventura che la famiglia affronta, e in
particolare il capofamiglia (Matt Damon) è ricca di episodi che hanno
significati nascosti rintracciabili confrontando ciò che succede al personaggio
con ciò che avviene nel mondo animale che lo circonderà.
Un esempio su tutti, e non li
dico tutti per non rovinarvi il film, è quello della vicenda della tigre Spar.
La tigre è malata e tutti
consigliano a Ben di farla sopprimere perché non ce la fa più. Lui si ostina a
curarla, cerca di starle vicino, di darle medicine, ma la tigre rinuncia ad
essere aiutata, vuole apparire più forte ma non lo è. Ad un certo punto capisce
che non può farcela più e decide che è pronta ad andare via, e anche Ben si
accorge di questo, e la lascia andare. Ma dappertutto tiene vivo il suo ricordo
utilizzando un disegno del figlio come nuovo logo dello zoo, un disegno che
ritrae proprio quella tigre e che lui piazza ovunque, così come lui in giro per
la città vedeva dappertutto la sua moglie ormai morta. Ecco, alla luce di
quanto vi ho scritto ora, provate a guardare il film, a scorgere le vicende che
superficialmente sembrano solo di contorno al film ma che in realtà sono
colonne portanti dello stesso, perché accompagnano il protagonista lungo un
viaggio che lo vedeva concentrato sugli esseri umani, che lo ha visto più
concentrato sugli animali una volta che l’essere umano che più contava per lui
lo ha abbandonato, ma che lo ha visto ritornare a vivere da umano alla chiusura
del circolo delle vicende.
Chiaramente aspettatevi anche
qualche lacrima, io perlomeno mi sono commosso tutto il film, ma sono
abbastanza sensibile al bel cinema, e non me ne vergogno ;).
Insomma, questo è il film che vi
consiglio questa settimana.
Sai, a volte tutto ciò di cui hai bisogno sono venti secondi di coraggio
folle. Letteralmente, venti secondi di audacia imbarazzante. E ti assicuro che
ne verrà fuori qualcosa di grande.
Alzi la mano, anzi, alzi
l'indice chi non conosce questa frase. No, non parliamo né di
stupidissimi call center che vi offrono chiamate gratuite per il
Botswana, né tanto meno di pinguini rapper che, con una operazione
pubblicitaria da fare invidia al signorino “Buonasera”,
instillano ritmi sincopati che manco la Hit Mania Dance di Mauro
Miclini.
Sto ovviamente
riferendomi a quel bell'esserino venuto da lontano: ET.
L'extraterrestre per eccellenza, l'alieno stereotipato così lontano
dai marziani di Mars Attack, dagli esseri di Independence Day o dai
venusiani di Adamsky, un essere quasi rassicurante nella sua
ingenuità.
Beh, in un giorno come
questo non poteva mancare un post del genere, visto che anche mamma
Google ha deliziato la nostra giornata con quel favoloso giochino su
Roswell (ad oggi solo un pensiero mi frulla in testa, e ve lo dico
in hashtag: #iovogliolavorarealladivisionedoodledigoogle), e qualcuno
ha forse rischiato il licenziamento pur di ricomporre la navetta del
grigio e farlo ripartire verso chissà quale Terra lontana.
La domanda che tutti,
almeno una volta nella vita, ci siamo posti è: ma siamo davvero soli
nell'universo????
Una domanda del genere
trova tutti impreparati, e allo stesso tempo tutti capaci di una
risposta, più o meno filosofica, più o meno scientifica, più o
meno fantastico-cinematografica. Pensate che c'è chi ha risposto con
una equazione, detta Equazione di Drake, alla possibilità che vi
siano altre vite oltre la nostra, e altre case oltre la nostra, e
magari altre IMU insieme alla nostra ;) ( e pensate che qualcuno ha
applicato la stessa equazione per vedere quante sono le anime gemelle
possibili nel proprio territorio!!!): potere e meraviglia della
scienza e delle capacità umane di ridurre il mondo ad un libro fatto
di quadrati, e forme e equazioni.
Ora da me che risposta
volete, quella da ormai ex ufologo consumato o quella da persona
“normale”? Beh io vi dico che secondo me tanto soli non possiamo
essere, sapete che noia! Eppure dico, allo stesso tempo, che la
possibilità, fosse anche remotissima, di essere in contatto con
qualcun altro un po' mi spaventa, acido deossiribonucleico a parte...
Non è razzismo, lungi da
me esserlo, ma è qualcosa di talmente strano da non essere
pienamente spiegabile. Voi come vi comportereste con un alieno se,
per caso, riuscisse a mettersi in contatto con voi? Scartiamo il
comportamento dettato da film e altro, ossia rapimenti, ecc..., ma
pensiamo solo ad un puro incontro ravvicinato del terzo tipo
“amichevole”, uno di quelli della serie “conosciamoci meglio”,
un blind date con i grigi dai begli occhioni.
Bene. Raccontami la tua
vita.
Io sono umano, noi
viviamo su questo pianeta che si chiama Terra. Io mi chiamo Angelo e
nella vita faccio...sono ingegnere (meglio di sicuro che spiegargli
il dottorato di ricerca, concetto alieno anche forse al MIUR).
Ho 25 anni, vivo con la
famiglia, ossia tante persone che hanno in comune tante
caratteristiche, si somigliano. Ho una fidanzata, una persona con
tante cose in comune, che ti somiglia (ecco, adesso mi sento come
Renato Pozzetto che descrive al cieco Ezio Greggio il Duomo di Milano
e le case allo stesso modo)...
E tu, chi sei? Da dove
vieni?
E lì giù di
descrizione, di cosa vengono a fare, di perchè proprio me...
E perchè siete qui?
Il nostro pianeta sta
morendo. Il nostro popolo lo sta distruggendo, guerre, il pianeta sta
esaurendo le sue risorse...Dobbiamo cercare una via di fuga, vogliamo
continuare a vivere...
Ma non avete tecnologie
avanzate?
Sì le abbiamo, ma esseri
senza scrupoli le usano male, o non le usano affatto, e stanno
portando il nostro mondo alla rovina, abbiamo bisogno di un
aiuto...Forse sì, forse è per questo che ci siamo incontrati...
Dovete aiutarci o non ce la faremo...
Miao a tutti! Chi vi scrive stavolta è il terzo coautore del
blog, quello che non scriveva perché fino a 2 minuti fa non aveva l’ispirazione
e che spera di trovarla entro le prossime 3 o 4 righe prima di cancellare
tutto.
Non aspettatevi capolavori, né formule da nerd, ma nemmeno
boiate colossali. Aspettatevi piuttosto le nostre passioni buttate su post
scritti nel tempo libero; aspettatevi la quotidianità, l’attualità, la tecnologia
(vedi Angelo).Aspettatevi un punto di vista, una visuale su un mondo che cambia
ad una velocità pazzesca e ci trascina come un fiume in piena verso l’ignoto. Insomma
una fotografia, come dice Marian.
Tutti si aspettano che parlerò di musica. Ma anche no. La
musica la si consiglia, la si suona, la si ascolta, la si vive. Parlarne è
riduttivo, il mio entusiasmo per il blues non potrà mai eguagliare un “let ring”
di Mark Knopfler, un assolo di Jimi Hendrix o un bending di Clapton. La musica
non si impone e non è un caso che negli ultimi 60 anni è stata l’espressione
della libertà d’arte per eccellenza.
Oggi è 4 luglio, festa dell’Indipendenza americana. Oggi ho
scritto una frase su Facebook “L'indipendenza degli Stati Uniti è l'inizio
della fine dell'indipendenza di molti altri Stati”. Avrei dovuto scriverla così
: “L’indipendenza americana comincia lì dove finisce quella di molti altri
Stati”. Questa frase voleva essere di spunto
per un dibattito che non è nato. Non so perché ma ho pensavo agli starnuti abortiti
di Totò. Sapete che sono un grande utente di Facebook. Pubblico di tutto,
scrivo cazzate, promuovo musica (quella buona la tengo per me). Ormai su Facebook
preferisco evitare di scrivere cose “serie” perché -come sosteneva oggi
Vittorio- è un posto dove vige “la dittatura della stupidità”. (In realtà si
riferiva ad altro, ma mi piace come espressione). La realtà virtuale che
prende il sopravvento su quella reale. Litigate in commenti, tentativi di
rimorchio convertiti in “Mi piace”,
sentimenti tramutati in codice binario, scambi di opinioni che finiscono quasi
sempre nell’incomprensione di chi vuol avere ragione. Tutto è “spiaccicato” su uno schermo, tutto
visibile dall’altroaparte del mondo, che sia un parente o uno sconosciuto. La domanda
che mi pongo ogni giorno è “Cosa ci sto a fare?” A volte vorrei cancellarmi, ma
poi rinuncio perché mi dispiace perdere diversi ponti di stima/ammirazione/dialogo/culturali
che ho costruito col tempo con alcune persone che non potrei contattare
diversamente (se non con altri social network). Così rimando ormai da tempo il
cancellare i “contatti mai contattati” o me stesso. L’unica cosa che mi impongo ogni volta che mi
connetto su Facebook (giovedì sera
esclusi) è di non cadere nella banalità di ridurre ogni cosa, come si tende a fare sui social network, ad un “Mi piace/Non
mi piace più”. Perché anche una foto in bianco e nero, se ci pensate bene, è una
foto a colori: quelli essenziali.
Sfogliare un giornale partendo dall'ultima pagina e controllare i risultati della notte appena si aprono gli occhi al mattino. Queste sono un paio delle caratteristiche di un appassionato NBA, il Campionato professionistico Americano di Basket. Per quanto mi riguarda la passione è nata nel 2001 quando, tra compagni di squadra in spogliatoio, ci si passava le cassette delle partite registrate da D+. Le guardavamo fino a consumarle. Venivano a mancare pezzi di video e di audio. Non che fosse un problema, le immagini e le telecronache (del duo Federico Buffa e Flavio Tranquillo, vere e e proprie divinità per gli appassionati degli sport nordamericani) erano state memorizzate dopo millemila visualizzazioni. L'apice degli scambi e dell'euforia per avere l'ultimo VHS si raggiungeva con le registrazioni dell'All Star Game, la partita delle stelle, appuntamento annuale che si tiene nel mese di Febbraio in una delle città che ospitano una franchigia NBA. La partita vede contrapporsi East Vs West e si può affermare con quasi totale sicurezza che i giocatori selezionati siano i 24 migliori al mondo. Per essere sinceri l’apoteosi si raggiungeva con la visione della gara delle schiacciate (spettacolo in programma il giorno prima della partita delle stelle), dove i migliori atleti della lega danno libero sfogo alla loro fantasia ed al sovrumano atletismo schiacciando nei modi più assurdi. Poi uno pensava: “Vabbè, che sarà mai saltare un metro in altezza, mettere tutto il braccio nel canestro, saltare sopra un uomo alto 2,15 m, decollare dalla linea del tiro libero (ossia a 6 metri dal canestro).. che ci vuole, tanto ha gli stessi muscoli che ho anche io, è alto come me”. Poi puntualmente, durante gli allenamenti con la squadra, cercavamo di imitare quelle giocate, di provare a saltare almeno la metà della metà.. ma nulla. Del resto Newton ha enunciato la sua legge solo per noi, esseri comuni, bipedi normodotati, mica per alieni del calibro di Michael Jordan, Doctor J o Earl Manigault. L’amore è esploso definitivamente nel 2002, quando un giovane Kobe Bryant vinse il suo terzo titolo consecutivo assieme al Grande Aristotele, o il grande Cactus, o il Diesel.. insomma ci siamo capiti, Shaquille O'Neal. Mi innamorai di Kobe, del suo agonismo, della sua passione per il gioco, della sua sfrontatezza, del suo desiderio di diventare il più grande di tutti i tempi, di dominare, dei suoi occhi nei finali Playoffs, dei denti digrignati dalla rabbia... e mi innamorai del mondo NBA, l'unico palcoscenico al mondo dove puoi vedere "danzare" ballerini di due metri e 10 per 120 kg. Slogan famosi di pubblicità passate alla storia recitavano: "Poetry in motion" o "Where Amazing Happens", ed in effetti solo lì possono vedersi gesti tecnici e atletici fuori dal comune. In ogni partita NBA si può essere testimoni di giocate mai viste prima e che mai più verranno replicate su un campo da basket. Dico su un campo da Basket, perché potrebbero sempre essere replicate in un videogame. In un videogame!
Il campionato termina a Giugno ma l'abitudine di controllare il cellulare appena aperti gli occhi non mi abbandona mai. Così, qualche giorno fa, qualche secondo dopo aver aperto gli occhi (e aver abbassato la luminosità dello schermo che era al massimo e che mi aveva accecato), controllando le e-mail, leggo che un mio Amico, l'autore di questo blog, mi aveva invitato a diventare Coautore. L’idea mi ha subito allettato poiché ho sempre desiderato tenere un blog, ma ora per un motivo, ora per un altro, non l’ho mai iniziato. Non ho iniziato a dedicarmi subito al mio primo post perché impegnato nella preparazione di un esame, dopo il quale sono state necessarie almeno trentasei ore per riprendere a pensare in lingua italiana e non più in Decibel, scale logaritmiche, ampiezze e fasi. Perché poi, la cosa brutta di studiare Ingegneria è che, dopo qualche anno, inizia a diventare difficile parlare Italiano. Ecco, parlare, non parliamo dello scrivere. Si è sempre immersi in diagrammi, leggi, schemi,programmi, manuali, ecc.. che diventa davvero difficile formalizzare un periodo di senso compiuto corretto grammaticalmente.
Oltre al sottoscritto, l’Autore del Blog ha nominato un altro Coautore, Luigi. Ed ecco così che tre vecchi cari Amici, così diversi (ma con lo stesso cuore), con passioni tra le più svariate, si ritrovano a tenere un blog insieme. Tre punti di vista diversi sulle dinamiche economiche, ambientali, sociali, culturali,ecc.. Caratteri differenti che colgono e analizzano le questioni da punti di vista differenti. Per di più tre persone separate da centinaia di chilometri.
C’avete creduto? Scherzavo. La verità è che siamo tre fotografi accomunati dal desiderio di esplorare ed immortalare l’ambiente che ci circonda, di cogliere, riconoscere e forse prevedere un istante ed un ambiente unico, come un sorriso, una reazione, un abbraccio, un tramonto, un albero o anche un semplicissimo lampione. Ognuno si posizionerà nel punto che riterrà migliore per comporre la scena della propria fotografia, imposterà l’apertura del diaframma, il tempo di esposizione, la temperatura della luce, metterà a fuoco, tratterrà il respiro… e scatterà. E questo non sarà un nient’altro che un album di fotografie, non un blog. Alcune di queste saranno state scattate di getto, d’impulso, dettate da quell’istinto e quella voglia di esprimere un emozione o un pensiero fugace. Altre saranno frutto dello studio e dell’ analisi attenta, dell’attesa del momento migliore e della luce più adatta in cui scattare.
Ah! Per chiarire la questione… Si sfoglia il giornale a partire dalla fine perchè la Gazzetta dello Sport riporta le notizie relative alla NBA nelle ultime pagine, dopo averne dedicate ottanta al calcio italiano, tedesco, francese… fino ad arrivare alla quarta categoria dell’ultima Lega dell’Argentina, per poi dedicarsi agli altri Sport. Sport, non calcio.
Sapete, ho proprio una grande passione per
il cinema, l’unica cosa che mi frena è che ormai il prezzo del biglietto è
arrivato ad un livello tale che sembra di stare acquisendo una parte dei
diritti d’autore del film, per cui sempre meno persone si accalcano davanti
alle biglietterie, e le uniche code per i film che vedo sono quelle sui
Bittorrent, JDownloader, ecc… (per inciso, software di download pirata ;) ).
Il buon cinema vale il biglietto, checché se ne dica, ma il
prezzo andrebbe ridimensionato. Proposta degli ultimi tempi negli USA è quella
di un biglietto proporzionato alla spesa per la realizzazione del film, e
questa cosa mi ha fatto venire in mente, insieme a tante altre, una parte di
questo post ( il titolo del post, per chi non lo avesse colto, riprende un banditore d'asta).
Vedete, in questa settimana, da grande appassionato
soprattutto delle storie di supereroi, sono stato ( insieme al fidato coautore
del blog, che aspetto sempre si dimostri tale ;) ) al cinema a vedere “L’uomo d’acciaio”,
risposta ferro-carboniosa della DC comics al grandissimo “Iron Man”, che di
diverso oltre ai poteri ha solo il materiale.
Da bambini i primi supereroi ai quali ci siamo abituati, se
non altro perché cinematograficamente hanno una storia ben più remota, sono
Batman e Superman, e recentemente hanno visto una grande rinascita anche grazie
al genio dei Nolan, oltre ad una spropositata manciata di effetti speciali, i
quali valgono totalmente il prezzo del biglietto. Ecco, secondo questa
descrizione, il prezzo del biglietto dovrebbe essere, mettiamo, 20€.
Ma il prezzo del biglietto vale ciò che il film ci lascia
dentro?
Ok, mi è rimasta la sensazione di volare, ci ho provato, ed
ora l’Itali è fuori dalla crisi petrolifera, ma affronta spese ospedaliere per
curarmi che parificano il ricavato dal greggio ;).
Mi è rimasta la voglia di sconfiggere i maledetti
Kryptoniani, ma quelli in Italia mica ci vengono, già distruggiamo tanto noi
del nostro patrimonio, che vengono a fare…
E poi… e poi mi è rimasta la storia d’amore di Superman e Lois
Lane ( a proposito, carinissimo il gioco che la mamma di Superman la interpreti
Diane Lane!). Mi è rimasta la storia d’amore di Superman e Lois??
Beh veramente no, le scene non sono proprio quelle di Reeve
che scendeva roteando con la sua Lois. Mmh…proprio no.
Allora del film non mi è rimasto granché, se non 2h e passa
di meraviglia e gasamento per gli effetti.
Beh, sai che si fa? Si torna un po’ al caro vecchio cinema,
di quelli che costavano poco, quasi niente, ma che tanto significato avevano.
E allora così, da un discorso casuale, mi torna in mente un
film che sapevo essere simpaticissimo ma non ero riuscito mai a vedere
interamente, e decido di vederlo. Il titolo, per chi lo volesse, è “A piedi
nudi nel parco”.
Brevemente: attori principali sono Robert Redford e Jane
Fonda, ambientazione NY.
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Ora, non so voi, ma a me i film
realistici ambientati nelle città reali mi fanno uno strano effetto. Per questo,
ad esempio, a NY sono entrato da
Tiffany, oltre che per avere un saggio della grandissima gioielleria ( e non
per domandare cornetto e cappuccino, anche se Apu nei Simpson era riuscito a
farsi servire!). Per Smallville o Gotham City Ryanair non fa servizio, quindi
nulla.
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La storia gira intorno ad una coppia di sposini novelli,
molto innamorati, che decidono di fare la loro luna di miele all’Hotel Plaza,
in un turbine di passione che praticamente li vede circa una settimana chiusi
in una stanza d’albergo senza uscire mai. Ecco loro, fin quando si baciano e si
toccano e si tengono stretti si sentono in un mondo tutto loro, un mondo
inattaccabile anche testimoniato dalle frasi senza senso che si scambiano.
Nel momento in cui Paul (Redford) decide che forse è il caso
di andare a lavoro e di lasciare l’albergo inizia la fase calante. I due, infatti, si danno appuntamento nella
loro casa appena acquistata, che si trova al 5° piano di una palazzina senza
ascensore. Una casa che definire “ bomboniera” per la piccolezza è un
complimento, ma che vuole simboleggiare il classico nido d’amore; a
testimonianza di ciò, una delle prime cose che lei fa è riprendere bene le
misure della camera, così piccola che l’unico letto che vi entra è da una
piazza e mezza, per stare “vicini vicini”, e non c’è possibilità alcuna di un
armadio (ma nell’idea che lei si era fatta anche in quei giorni all’hotel non
erano previsti vestiti). Lo stesso per il riscaldamento, del quale non troppo
si preoccupa, ecc…
Il personaggio di Jane Fonda è di quelli, simpaticissimi,
iperattivi, che fanno della spensieratezza la loro ragione di vita, personaggio
che contrasta fortemente con la razionalità di Redford, avvocato che cerca la
scalata al successo. Ed ecco che la crisi fa capolino quando questi due mondi
si scontrano al di fuori delle lenzuola, e fuori dall’abbraccio lei manifesta
insicurezza, o meglio, non si sente a suo agio in una storia d’amore che non
sia pura passione e spensieratezza. Lui fuori casa, lei in casa. Lui, in
particolare, porta con sé una bottiglia di scotch e se ne va al parco, quello
stesso parco sul quale era stato rimproverato, perché non voleva passeggiarvi a
piedi nudi come invece lei voleva. Ma nella distanza lei capisce che, in fondo,
ama davvero lui e lo torna a cercare, e lo vede scalzo che danza ubriaco nel
parco: ora le parti si sono invertite, perché in lei c’è il senno dell’amore,
mentre lui, ubriaco, fa esattamente quello che lei voleva e faceva in
precedenza, per cui parafrasando si può dire che Jane Fonda risultasse “ubriaca
d’amore”.
Il film poi sia avvia verso il lieto fine, ecc… e altri piccoli significati li lascio ritrovare a voi, non voglio rovinarvi il film... :) Particolare
il fatto che in un film che sostanzialmente è un film d’amore, il vero “Ti amo”
venga pronunciato alla fine, quando entrambi si avviano alla vera vita insieme
fatta di amore passionale, spirituale e del quotidiano.
Ecco, finito il film cosa mi rimane? Penso si sia capito… il film di per sé sembra davvero poca
roba, ma porta a riflettere, e quindi diviene un gran bel film per il messaggio
che riesce a comunicare. Sulla base di quanto proposto in USA dovremmo pagare
5€ per vederlo, dato il budget effettivamente di poco conto. Eppure, in realtà,
questi sono i film migliori, quelli che lasciano una certa morale; anche se la
città di notte risulta illuminata solo dai lampioni e non dallo spot con
pipistrello, non vuol dire che non valga la pena di vedere il film.
Io personalmente rivedrei il film 4 volte. E forse una
camminata a piedi nudi nel parco vale la pena farla, ogni tanto.
Chiunque
ha giornalmente in mente tante cose, le sente alla tv, per lavoro,
per passione. Ma le passioni sono, solitamente, qualcosa di
rilassante; le parole che ogni tanto vengono in mente così, quando
non si pensa a nulla, sono sicuramente legate al quotidiano, o a
qualcosa che abbiamo vissuto e che sì è stabilito nel nostro
inconscio, pronto a venire a galla.
Freud
lo diceva, nulla avviene per caso, soprattutto perchè, come gli
antichi latini insegnano ( a me no, visto che non ho studiato latino
;P ) :”Faber est suae quisque fortunae”, ognuno
è artefice del proprio destino, quindi quello che noi pensiamo sia
un deja- vù o simili potrebbe benissimo essere che lo abbiamo
causato noi.
Quindi,
adesso, proviamo a pensare a caso ad una parola, insieme.
Ecco,
a molti sarà venuta in mente una parola di una canzone, Facebook,
ecc...
Fortunati
voi, a me l'altro giorno è venuto in mente questo: entanglement.
Ecco
spiegato il meraviglioso preambolo che sembra essere il degno
anticipo di un ricovero neuropsichiatrico.
Molti
di voi forse non conosceranno questa parola, anche se mi vanto di
pochi lettori ma acculturati. Per chi non conosce questa parola ne
riporto la definizione di Wikipedia, e poi filosofeggiando un po'
capirete come e perchè questa parola sia affascinante.
L'entanglement
quantistico
o correlazione
quantistica
è un fenomeno quantistico,
privo di analogo classico,
in cui ogni stato
quantico di un insieme di due o più sistemi
fisici dipende dallo stato di ciascun sistema, anche se essi sono
spazialmente separati. Viene a volte reso in italiano con il termine
"non-separabilità".
Letto
questo, i pochi di voi che saranno ancora svegli si staranno
chiedendo perchè quei due neuroni che ci sono nell'ampio del mio
cranio non abbiano niente altro da fare che pensare a questo e,
ovviamente, con tutto quello che ne segue, a tutti i vari principi
della fisica ad esso collegati, come il paradosso EPR ( se ne volete
una spiegazione scientifica vi rimando a wiki).
Zzz...zzz...zzz
Ok.
Vediamo perchè ci dovrebbe affascinare un concetto che riguarda le
particelle, che nulla sembra avere a che fare con il nostro mondo.
La
definizione ha nascosto in sé questo: due particelle che vengono
messe insieme possono influenzarsi l'un l'altra, anche se sono
spazialmente distanti. Cioè le proprietà di una possono cambiare in
ragione di quelle dell'altra.
Fantastico.
Pensate
a quanto le particelle ci somigliano. Le persone sono come spugne,
assorbono le une dalle altre, assumono comportamenti in funzione di
come si comportano le altre.
Magnifico.
Ora
passo all'interpretazione che mi piace di più.
Due
persone lontane possono agire e influenzare ciò che succederà,
magari ad altre, magari a sé. Anche la più piccola azione non è
nulla, ma ha ripercussioni da qualche parte, per qualcuno. “Il
battito d'ali di una farfalla può causare un tornado dall'altra
parte del mondo”: avrete sentito questo concetto miliardi di volte,
e in esso questo concetto racchiude anche quello di entanglement.
Visto
che non è tanto lontano da noi???
Inoltre,
come spesso mi capita, succede che le cose che sembrano venire in
mente per caso, tali non sono. Ed ecco che, ragionando
sull'entanglement, arrivo subito alla teoria che più amo, e che
secondo me è qualcosa di talmente bello e profondo che sarebbe
impossibile da spiegare in poche righe: la teoria dei gradi di
separazione.
Vi
riporto wiki ancora una volta ( proprio gliele farei ste donazioni a
wiki per quanto ci aiuta!!!!)
La
teoria dei sei
gradi di separazione
è un'ipotesi secondo cui qualunque persona può essere collegata a
qualunque altra persona attraverso una catena di conoscenze con non
più di 5 intermediari.
Al
giorno d'oggi i gradi di separazione sono molti meno ( pensate che
tutti gli statunitensi possono essere messi in relazione con qualcosa
come 3-4 gradi di separazione medi) però la teoria non perde il suo
fascino.
Ora
mettiamo insieme le due cose, così come piace fare a me.
Allora
qualsiasi atto che compiamo influenza qualcos'altro, o qualcun'altro,
o noi stessi.
Ognuno
di noi può essere messo in contatto con un'altra persona secondo un
numero finito di gradi di separazione.
Ecco
che le nostre azioni possono portarci ad entrare in contatto con
un'altra persona, secondo delle azioni che tendono ad accorciare la
distanza in termini di gradi di separazione fino ad arrivare allo 0:
abbiamo creato il destino.
Conoscersi
è dicotomia, è un sistema binario, entrare in contatto significa
generare una certa sequenza di 1 e 0 per cui si arriva ad
incontrarsi, e non ci è dato sapere cosa sarebbe successo se al
posto dello 0 ci fosse stato un 1, o viceversa, anche se molto spesso
ci accorgiamo che magari ci saremmo incontrati lo stesso con qualcuno
(ecco che entrano i gradi di separazione!)
Dai,
non succede mai, ma una volta correggiamo i latini: il destino non è
proprio, ognuno è artefice di qualcosa, e quel qualcosa si ritrova
specularmente nel destino di qualcun'altro, quindi non esiste IL
destino, ma I destini, e non sono mai propri, ma sono una sequenza di
intersezioni di insiemi che non finiscono mai.
Ci
si incontra per un motivo, perchè di ogni insieme esiste il
complementare,o esistono I complementari e l'entanglement e i gradi
di separazione ci portano ad incontrare chi ci è meno lontano,
spazialmente e sociologicamente parlando.
Quasi
quasi lo cancello il post, non mi piace molto.
Però
se lo cancellassi, e non lo pubblicassi, mai nessuno forse vi direbbe
dell'entanglement, e forse non googlereste, e forse non andreste a
vedere la serie TV flashforward che spesso lo nomina, e forse non
ricordereste di aver visto l'attore in shakespeare in love, e forse
non ricordereste di aver visto quel film in classe, e forse non
ricordereste quella ragazza che tanto vi piaceva, e non vi verrebbe
in mente di cercarla su FB, e non vi accorgereste che non è
impegnata, e non provereste a cercare di contattarla tramite amici in
comune ( gradi di separazione), e non uscireste insieme, e non vi
sposereste, e non avreste dei figli...
Mah,
quasi quasi lo lascio, che male fanno queste poche righe.
Quando accade un evento storico si fa a gara a chi dice per primo quella fatidica frase: "Io c'ero". È una frase che secondo me riprende involontariamente il "celo/mi manca" che da piccoli ripetevamo aprendo i pacchetti di figurine.
Ecco, io quell' "io c'ero" me lo rivenderei volentieri, e con me penso se lo sarebbero rivendute molto più volentieri altre 300 persone circa.
Non possiamo mentire, non possiamo fare gli ipocriti come i tg, come i politici, come chi guardando il calendario come controllasse il proprio onomastico ricorda che il 6 aprile qualcosa è davvero cambiato. Purtroppo.
Io, noi che eravamo lì quelle maledette ore ce le ricordiamo tutte. E la cosa più strana è che di solitocalla fine di una giornata tendiamo a dimenticare tutto quello che abbiamo fatto e passato nelle ore precedenti, e quella volta invece non è successo, contravvenendo a qualsiasi teoria della rimozione, piantando una bandiera, una tacca di riferimento, un qualcosa che segna il prima e il dopo. Si contano gli anni prima e dopo Cristo, prima e dopo il viaggio di Maometto, abbiamo mille calendari sparsi nel mondo, e noi ne abbiamo aggiunto nostro malgrado uno, non affiggendolo, non cerchiandolo di rosso ad ogni compleanno, non cerchiando alcuna data. Questo soprattutto perché, effettivamente, noi sappiamo che quello che è successo è successo il 6 aprile perché lo abbiamo letto, scritto a caratteri cubitali dovunque, sui muri, sui giornali, perché per noi c'è solo un buco, una spaccatura fra la notte del 5 aprile e il resto del tempo. Io, personalmente, ricordo quella domenica, che poi era domenica delle palme, perché ero appena tornato a L'Aquila, come al solito su un pullman dell'Arpa cercando di vedere in qualche modo una partita dell'inter in streaming, una partita qualsiasi ma che, in realtà, a un amico ha praticamente salvato la vita. E poi una serata con un altro mio grande amico passata al pub a vedere una partita di cui non mi fregava molto sinceramente, ma tant'é, bastava stare insieme. E quei maledetti seggiolini che iniziavano a tremare per le prime scosse alle quali ci eravamo tristemente abituati, ma che forse erano solo un avvertimento. Un avvertimento.
Avvertivano che qualcosa, che tutto sarebbe cambiato, che quelli che io continuo a descrivere come gli anni più belli della vita di un ragazzo, quelli dell'università, a noi non sarebbero stati riservati così, a noi che fortunatamente siamo ancora tutti su questa terra il destino non aveva dato la possibilità di continuare un cammino insieme. Ed è ovvio e normale che ogni tanto ci si fermi a pensare a cosa sarebbe successo se nulla fosse successo, ma è altrettanto strano capacitarsi del fatto che è impossibile concepirlo, immaginarlo, perché appartiene tutto ad un'altra vita, perché tanto c'era prima e tanto è nato dopo, come se in un qualsiasi teatro la scenografia fosse ruotata completamente, lasciando i personaggi sempre uguali ma cambiando l'ambiente senza possibilità di rivederlo, portando con sé purtroppo anche parte del cast della nostra storia. Eh sì, proprio un cast, perché durante un film tutti gli attori entrano e escono in momenti diversi, pochi si incontrano per girare scene insieme, eppure alla cena finale si va tutti insieme perché ci si sente tutti parte della stessa pellicola. La vita non è un film, però, e mai frase scontata fu più esatta. La nostra paura è stata reale, l'immagine di me in un vicolo mentre dal cielo cadono pezzi di cornicione mi torna avanti ogni volta che passo in una stradina, la voglia di nascondersi a poche ore da quanto accaduto solo perché un treno aveva fatto vibrare le finestre io l'ho sentita, il mondo che tremava io l'ho visto, una vita che si frantumava davanti ai nostri occhi, che cambiava completamente faccia lasciando della vecchia solo una enorme cicatrice noi l'abbiamo vista.
L'Aquila NOI l'abbiamo vista, e alcuni di noi continuano a vederla ripensando a come era, soffrendo per come è e non riuscendo a immaginare come sarà, perché un muro come quello sul passato lo abbiamo sul futuro.
Dateci scopa e un secchio di colla, ad affiggere la nuova scenografia ci pensiamo noi. E tutta a colori.