mercoledì 10 luglio 2013

La mia vita è uno zoo

Come annunciato qualche ora fa, sul blog ci sarà un appuntamento fisso (e ovviamente questa cosa è aperta anche agli altri autori) e sarà relativo al cinema. Questo appuntamento vorrà essere un po’ una recensione, un po’ un consiglio, come di quelli che si darebbero tra amici, un po’ uno spunto di riflessione per chi il film lo ha già visto e vuole condividere sfumature, piccoli significati e riflessioni che portano ad apprezzare molto di più il film in questione.
Ok, ho capito, ho già scritto un post poco tempo fa, però questo è diverso, quindi sorbitevi un po’ di questa pappardella, e poi magari vi viene in mente di vedere il film che vi consiglio, e vi invito a commentare questo post.
Il film di cui vi parlo oggi ha un titolo che tutto farebbe intuire, fuorché un film di un livello davvero molto alto: La mia vita è uno zoo (tratto da una storia vera).
Il titolo porterebbe a pensare che si tratti di uno di quei film un po’ stupidi, e invece no. È un film di una delicatezza fuori dal comune, un film che già a partire dalla fotografia, dai colori utilizzati ti porta nel caldo abbraccio di un gruppo-famiglia come quello protagonista del film.
Brevemente la trama (ancora grazie a wiki ;) )

Sconvolto dalla morte della moglie, Benjamin Mee decide di rivoluzionare la propria vita e quella dei figli, lasciando il (redditizio) lavoro di reporter e decidendo di cambiare casa. Ma c'è un problema: la casa "ideale" che lui sceglie si trova in un vecchio e decrepito zoo, completo di 200 animali esotici e "lontano 9 miglia dal negozio di alimentari più vicino". La casa, per contratto, può essere acquistata solo da un acquirente che prometta di mantenere attivo lo zoo. Nonostante i numerosi imprevisti (economico-finanziari, di gestione famigliare ed elaborazione del lutto), Ben e i due figli riusciranno con tenacia a rendere presentabile lo zoo, in quella che a tutti gli effetti si tramuta in una sfida che si carica di ben altri significati (il tutto con l'aiuto di una stravagante compagnia di inservienti, capeggiata dal personaggio di Scarlett Johansson).

Il film così relegato nelle poche righe di una trama scritta da qualcuno sembra essere davvero un film qualsiasi, ma fidatevi che non lo è. L’avventura che la famiglia affronta, e in particolare il capofamiglia (Matt Damon) è ricca di episodi che hanno significati nascosti rintracciabili confrontando ciò che succede al personaggio con ciò che avviene nel mondo animale che lo circonderà.
Un esempio su tutti, e non li dico tutti per non rovinarvi il film, è quello della vicenda della tigre Spar.
La tigre è malata e tutti consigliano a Ben di farla sopprimere perché non ce la fa più. Lui si ostina a curarla, cerca di starle vicino, di darle medicine, ma la tigre rinuncia ad essere aiutata, vuole apparire più forte ma non lo è. Ad un certo punto capisce che non può farcela più e decide che è pronta ad andare via, e anche Ben si accorge di questo, e la lascia andare. Ma dappertutto tiene vivo il suo ricordo utilizzando un disegno del figlio come nuovo logo dello zoo, un disegno che ritrae proprio quella tigre e che lui piazza ovunque, così come lui in giro per la città vedeva dappertutto la sua moglie ormai morta. Ecco, alla luce di quanto vi ho scritto ora, provate a guardare il film, a scorgere le vicende che superficialmente sembrano solo di contorno al film ma che in realtà sono colonne portanti dello stesso, perché accompagnano il protagonista lungo un viaggio che lo vedeva concentrato sugli esseri umani, che lo ha visto più concentrato sugli animali una volta che l’essere umano che più contava per lui lo ha abbandonato, ma che lo ha visto ritornare a vivere da umano alla chiusura del circolo delle vicende.
Chiaramente aspettatevi anche qualche lacrima, io perlomeno mi sono commosso tutto il film, ma sono abbastanza sensibile al bel cinema, e non me ne vergogno ;).
Insomma, questo è il film che vi consiglio questa settimana.

Sai, a volte tutto ciò di cui hai bisogno sono venti secondi di coraggio folle. Letteralmente, venti secondi di audacia imbarazzante. E ti assicuro che ne verrà fuori qualcosa di grande.




martedì 9 luglio 2013

I'm an alien, I'm a legal alien!

Telefono,casa.

Alzi la mano, anzi, alzi l'indice chi non conosce questa frase. No, non parliamo né di stupidissimi call center che vi offrono chiamate gratuite per il Botswana, né tanto meno di pinguini rapper che, con una operazione pubblicitaria da fare invidia al signorino “Buonasera”, instillano ritmi sincopati che manco la Hit Mania Dance di Mauro Miclini.
Sto ovviamente riferendomi a quel bell'esserino venuto da lontano: ET. L'extraterrestre per eccellenza, l'alieno stereotipato così lontano dai marziani di Mars Attack, dagli esseri di Independence Day o dai venusiani di Adamsky, un essere quasi rassicurante nella sua ingenuità.
Beh, in un giorno come questo non poteva mancare un post del genere, visto che anche mamma Google ha deliziato la nostra giornata con quel favoloso giochino su Roswell (ad oggi solo un pensiero mi frulla in testa, e ve lo dico in hashtag: #iovogliolavorarealladivisionedoodledigoogle), e qualcuno ha forse rischiato il licenziamento pur di ricomporre la navetta del grigio e farlo ripartire verso chissà quale Terra lontana.
La domanda che tutti, almeno una volta nella vita, ci siamo posti è: ma siamo davvero soli nell'universo????
Una domanda del genere trova tutti impreparati, e allo stesso tempo tutti capaci di una risposta, più o meno filosofica, più o meno scientifica, più o meno fantastico-cinematografica. Pensate che c'è chi ha risposto con una equazione, detta Equazione di Drake, alla possibilità che vi siano altre vite oltre la nostra, e altre case oltre la nostra, e magari altre IMU insieme alla nostra ;) ( e pensate che qualcuno ha applicato la stessa equazione per vedere quante sono le anime gemelle possibili nel proprio territorio!!!): potere e meraviglia della scienza e delle capacità umane di ridurre il mondo ad un libro fatto di quadrati, e forme e equazioni.
Ora da me che risposta volete, quella da ormai ex ufologo consumato o quella da persona “normale”? Beh io vi dico che secondo me tanto soli non possiamo essere, sapete che noia! Eppure dico, allo stesso tempo, che la possibilità, fosse anche remotissima, di essere in contatto con qualcun altro un po' mi spaventa, acido deossiribonucleico a parte...
Non è razzismo, lungi da me esserlo, ma è qualcosa di talmente strano da non essere pienamente spiegabile. Voi come vi comportereste con un alieno se, per caso, riuscisse a mettersi in contatto con voi? Scartiamo il comportamento dettato da film e altro, ossia rapimenti, ecc..., ma pensiamo solo ad un puro incontro ravvicinato del terzo tipo “amichevole”, uno di quelli della serie “conosciamoci meglio”, un blind date con i grigi dai begli occhioni.

Bene. Raccontami la tua vita.

Io sono umano, noi viviamo su questo pianeta che si chiama Terra. Io mi chiamo Angelo e nella vita faccio...sono ingegnere (meglio di sicuro che spiegargli il dottorato di ricerca, concetto alieno anche forse al MIUR).
Ho 25 anni, vivo con la famiglia, ossia tante persone che hanno in comune tante caratteristiche, si somigliano. Ho una fidanzata, una persona con tante cose in comune, che ti somiglia (ecco, adesso mi sento come Renato Pozzetto che descrive al cieco Ezio Greggio il Duomo di Milano e le case allo stesso modo)...

E tu, chi sei? Da dove vieni?

E lì giù di descrizione, di cosa vengono a fare, di perchè proprio me...

E perchè siete qui?

Il nostro pianeta sta morendo. Il nostro popolo lo sta distruggendo, guerre, il pianeta sta esaurendo le sue risorse...Dobbiamo cercare una via di fuga, vogliamo continuare a vivere...

Ma non avete tecnologie avanzate?

Sì le abbiamo, ma esseri senza scrupoli le usano male, o non le usano affatto, e stanno portando il nostro mondo alla rovina, abbiamo bisogno di un aiuto...Forse sì, forse è per questo che ci siamo incontrati... Dovete aiutarci o non ce la faremo...

Ed è a questo punto che l'umano si inginocchia.

Stay.




giovedì 4 luglio 2013

Prime banalità

Miao a tutti! Chi vi scrive stavolta è il terzo coautore del blog, quello che non scriveva perché fino a 2 minuti fa non aveva l’ispirazione e che spera di trovarla entro le prossime 3 o 4 righe prima di cancellare tutto.
Non aspettatevi capolavori, né formule da nerd, ma nemmeno boiate colossali. Aspettatevi piuttosto le nostre passioni buttate su post scritti nel tempo libero; aspettatevi la quotidianità, l’attualità, la tecnologia (vedi Angelo).Aspettatevi un punto di vista, una visuale su un mondo che cambia ad una velocità pazzesca e ci trascina come un fiume in piena verso l’ignoto. Insomma una fotografia, come dice Marian.
Tutti si aspettano che parlerò di musica. Ma anche no. La musica la si consiglia, la si suona, la si ascolta, la si vive. Parlarne è riduttivo, il mio entusiasmo per il blues non potrà mai eguagliare un “let ring” di Mark Knopfler, un assolo di Jimi Hendrix o un bending di Clapton. La musica non si impone e non è un caso che negli ultimi 60 anni è stata l’espressione della libertà d’arte per eccellenza.
Oggi è 4 luglio, festa dell’Indipendenza americana. Oggi ho scritto una frase su Facebook “L'indipendenza degli Stati Uniti è l'inizio della fine dell'indipendenza di molti altri Stati”. Avrei dovuto scriverla così : “L’indipendenza americana comincia lì dove finisce quella di molti altri Stati”. Questa frase voleva essere di  spunto per un dibattito che non è nato. Non so perché ma ho pensavo agli starnuti abortiti di Totò. Sapete che sono un grande utente di Facebook. Pubblico di tutto, scrivo cazzate, promuovo musica (quella buona la tengo per me). Ormai su Facebook preferisco evitare di scrivere cose “serie” perché -come sosteneva oggi Vittorio- è un posto dove vige “la dittatura della stupidità”. (In realtà si riferiva ad altro, ma mi piace come espressione). La realtà virtuale che prende il sopravvento su quella reale. Litigate in commenti, tentativi di rimorchio convertiti  in “Mi piace”, sentimenti tramutati in codice binario, scambi di opinioni che finiscono quasi sempre nell’incomprensione di chi vuol avere ragione.  Tutto è “spiaccicato” su uno schermo, tutto visibile dall’altroaparte del mondo, che sia un parente o uno sconosciuto. La domanda che mi pongo ogni giorno è “Cosa ci sto a fare?” A volte vorrei cancellarmi, ma poi rinuncio perché mi dispiace perdere diversi ponti di stima/ammirazione/dialogo/culturali che ho costruito col tempo con alcune persone che non potrei contattare diversamente (se non con altri social network). Così rimando ormai da tempo il cancellare i “contatti mai contattati” o me stesso.  L’unica cosa che mi impongo ogni volta che mi connetto su Facebook  (giovedì sera esclusi) è di non cadere nella banalità di ridurre ogni cosa, come si tende a fare sui social network, ad un “Mi piace/Non mi piace più”. Perché anche una foto in bianco e nero, se ci pensate bene, è una foto a colori: quelli essenziali. 


mercoledì 3 luglio 2013

Un semplicissimo lampione


Sfogliare un giornale partendo dall'ultima pagina e controllare i risultati della notte appena si aprono gli occhi al mattino. Queste sono un paio delle caratteristiche di un appassionato NBA, il Campionato professionistico Americano di Basket. Per quanto mi riguarda la passione è nata nel 2001 quando, tra compagni di squadra in spogliatoio, ci si passava le cassette delle partite registrate da D+. Le guardavamo fino a consumarle. Venivano a mancare pezzi di video e di audio. Non che fosse un problema, le immagini e le telecronache (del duo Federico Buffa e Flavio Tranquillo, vere e e proprie divinità per gli appassionati degli sport nordamericani) erano state memorizzate dopo millemila visualizzazioni. L'apice degli scambi e dell'euforia per avere l'ultimo VHS si raggiungeva con le registrazioni dell'All Star Game, la partita delle stelle, appuntamento annuale che si tiene nel mese di Febbraio in una delle città che ospitano una franchigia NBA. La partita vede contrapporsi East Vs West e si può affermare con quasi totale sicurezza che i giocatori selezionati siano i 24 migliori al mondo. Per essere sinceri l’apoteosi si raggiungeva con la visione della gara delle schiacciate (spettacolo in programma il giorno prima della partita delle stelle), dove i migliori atleti della lega danno libero sfogo alla loro fantasia ed al sovrumano atletismo schiacciando nei modi più assurdi. Poi uno pensava: “Vabbè, che sarà mai saltare un metro in altezza, mettere tutto il braccio nel canestro, saltare sopra un uomo alto 2,15 m, decollare dalla linea del tiro libero (ossia a 6 metri dal canestro).. che ci vuole, tanto ha gli stessi muscoli che ho anche io, è alto come me”. Poi puntualmente, durante gli allenamenti con la squadra, cercavamo di imitare quelle giocate, di provare a saltare almeno la metà della metà.. ma nulla. Del resto Newton ha enunciato la sua legge solo per noi, esseri comuni, bipedi normodotati, mica per alieni del calibro di Michael Jordan, Doctor J o Earl Manigault. L’amore è esploso definitivamente nel 2002, quando un giovane Kobe Bryant vinse il suo terzo titolo consecutivo assieme al Grande Aristotele, o il grande Cactus, o il Diesel.. insomma ci siamo capiti, Shaquille O'Neal. Mi innamorai di Kobe, del suo agonismo, della sua passione per il gioco, della sua sfrontatezza, del suo desiderio di diventare il più grande di tutti i tempi, di dominare, dei suoi occhi nei finali Playoffs, dei denti digrignati dalla rabbia... e mi innamorai del mondo NBA, l'unico palcoscenico al mondo dove puoi vedere "danzare" ballerini di due metri e 10 per 120 kg. Slogan famosi di pubblicità passate alla storia recitavano: "Poetry in motion" o "Where Amazing Happens", ed in effetti solo lì possono vedersi gesti tecnici e atletici fuori dal comune. In ogni partita NBA si può essere testimoni di giocate mai viste prima e che mai più verranno replicate su un campo da basket. Dico su un campo da Basket, perché potrebbero sempre essere replicate in un videogame. In un videogame!
Il campionato termina a Giugno ma l'abitudine di controllare il cellulare appena aperti gli occhi non mi abbandona mai. Così, qualche giorno fa, qualche secondo dopo aver aperto gli occhi (e aver abbassato la luminosità dello schermo che era al massimo e che mi aveva accecato), controllando le e-mail, leggo che un mio Amico, l'autore di questo blog, mi aveva invitato a diventare Coautore. L’idea mi ha subito allettato poiché ho sempre desiderato tenere un blog, ma ora per un motivo, ora per un altro, non l’ho mai iniziato. Non ho iniziato a dedicarmi subito al mio primo post perché impegnato nella preparazione di un esame, dopo il quale sono state necessarie almeno trentasei ore per riprendere a pensare in lingua italiana e non più in Decibel, scale logaritmiche, ampiezze e fasi. Perché poi, la cosa brutta di studiare Ingegneria è che, dopo qualche anno, inizia a diventare difficile parlare Italiano. Ecco, parlare, non parliamo dello scrivere. Si è sempre immersi in diagrammi, leggi, schemi,programmi, manuali, ecc.. che diventa davvero difficile formalizzare un periodo di senso compiuto corretto grammaticalmente.
Oltre al sottoscritto, l’Autore del Blog ha nominato un altro Coautore, Luigi. Ed ecco così che tre vecchi cari Amici, così diversi (ma con lo stesso cuore), con passioni tra le più svariate, si ritrovano a tenere un blog insieme. Tre punti di vista diversi sulle dinamiche economiche, ambientali, sociali, culturali,ecc.. Caratteri differenti che colgono e analizzano le questioni da punti di vista differenti. Per di più tre persone separate da centinaia di chilometri.
C’avete creduto? Scherzavo. La verità è che siamo tre fotografi accomunati dal desiderio di esplorare ed immortalare l’ambiente che ci circonda, di cogliere, riconoscere e forse prevedere un istante ed un ambiente unico, come un sorriso, una reazione, un abbraccio, un tramonto, un albero o anche un semplicissimo lampione. Ognuno si posizionerà nel punto che riterrà migliore per comporre la scena della propria fotografia, imposterà l’apertura del diaframma, il tempo di esposizione, la temperatura della luce, metterà a fuoco, tratterrà il respiro… e scatterà. E questo non sarà un nient’altro che un album di fotografie, non un blog. Alcune di queste saranno state scattate di getto, d’impulso, dettate da quell’istinto e quella voglia di esprimere un emozione o un pensiero fugace. Altre saranno frutto dello studio e dell’ analisi attenta, dell’attesa del momento migliore e della luce più adatta in cui scattare.


Ah! Per chiarire la questione… Si sfoglia il giornale a partire dalla fine perchè la Gazzetta dello Sport riporta le notizie relative alla NBA nelle ultime pagine, dopo averne dedicate ottanta al calcio italiano, tedesco, francese… fino ad arrivare alla quarta categoria dell’ultima Lega dell’Argentina, per poi dedicarsi agli altri Sport. Sport, non calcio.

sabato 29 giugno 2013

Cinema e 1, cinema e 2, cinema e 3!

Settimana film. 
Sapete, ho proprio una grande passione per il cinema, l’unica cosa che mi frena è che ormai il prezzo del biglietto è arrivato ad un livello tale che sembra di stare acquisendo una parte dei diritti d’autore del film, per cui sempre meno persone si accalcano davanti alle biglietterie, e le uniche code per i film che vedo sono quelle sui Bittorrent, JDownloader, ecc… (per inciso, software di download pirata ;) ).
Il buon cinema vale il biglietto, checché se ne dica, ma il prezzo andrebbe ridimensionato. Proposta degli ultimi tempi negli USA è quella di un biglietto proporzionato alla spesa per la realizzazione del film, e questa cosa mi ha fatto venire in mente, insieme a tante altre, una parte di questo post ( il titolo del post, per chi non lo avesse colto, riprende un banditore d'asta).
Vedete, in questa settimana, da grande appassionato soprattutto delle storie di supereroi, sono stato ( insieme al fidato coautore del blog, che aspetto sempre si dimostri tale ;) ) al cinema a vedere “L’uomo d’acciaio”, risposta ferro-carboniosa della DC comics al grandissimo “Iron Man”, che di diverso oltre ai poteri ha solo il materiale.
Da bambini i primi supereroi ai quali ci siamo abituati, se non altro perché cinematograficamente hanno una storia ben più remota, sono Batman e Superman, e recentemente hanno visto una grande rinascita anche grazie al genio dei Nolan, oltre ad una spropositata manciata di effetti speciali, i quali valgono totalmente il prezzo del biglietto. Ecco, secondo questa descrizione, il prezzo del biglietto dovrebbe essere, mettiamo, 20€.
Ma il prezzo del biglietto vale ciò che il film ci lascia dentro?
Ok, mi è rimasta la sensazione di volare, ci ho provato, ed ora l’Itali è fuori dalla crisi petrolifera, ma affronta spese ospedaliere per curarmi che parificano il ricavato dal greggio ;).
Mi è rimasta la voglia di sconfiggere i maledetti Kryptoniani, ma quelli in Italia mica ci vengono, già distruggiamo tanto noi del nostro patrimonio, che vengono a fare…
E poi… e poi mi è rimasta la storia d’amore di Superman e Lois Lane ( a proposito, carinissimo il gioco che la mamma di Superman la interpreti Diane Lane!). Mi è rimasta la storia d’amore di Superman e Lois??



Beh veramente no, le scene non sono proprio quelle di Reeve che scendeva roteando con la sua Lois. Mmh…proprio no.
Allora del film non mi è rimasto granché, se non 2h e passa di meraviglia e gasamento per gli effetti.
Beh, sai che si fa? Si torna un po’ al caro vecchio cinema, di quelli che costavano poco, quasi niente, ma che tanto significato avevano.
E allora così, da un discorso casuale, mi torna in mente un film che sapevo essere simpaticissimo ma non ero riuscito mai a vedere interamente, e decido di vederlo. Il titolo, per chi lo volesse, è “A piedi nudi nel parco”.
Brevemente: attori principali sono Robert Redford e Jane Fonda, ambientazione NY.
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Ora, non so voi, ma a me i film realistici ambientati nelle città reali mi fanno uno strano effetto. Per questo, ad esempio,  a NY sono entrato da Tiffany, oltre che per avere un saggio della grandissima gioielleria ( e non per domandare cornetto e cappuccino, anche se Apu nei Simpson era riuscito a farsi servire!). Per Smallville o Gotham City Ryanair non fa servizio, quindi nulla.
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La storia gira intorno ad una coppia di sposini novelli, molto innamorati, che decidono di fare la loro luna di miele all’Hotel Plaza, in un turbine di passione che praticamente li vede circa una settimana chiusi in una stanza d’albergo senza uscire mai. Ecco loro, fin quando si baciano e si toccano e si tengono stretti si sentono in un mondo tutto loro, un mondo inattaccabile anche testimoniato dalle frasi senza senso che si scambiano.
Nel momento in cui Paul (Redford) decide che forse è il caso di andare a lavoro e di lasciare l’albergo inizia la fase calante.  I due, infatti, si danno appuntamento nella loro casa appena acquistata, che si trova al 5° piano di una palazzina senza ascensore. Una casa che definire “ bomboniera” per la piccolezza è un complimento, ma che vuole simboleggiare il classico nido d’amore; a testimonianza di ciò, una delle prime cose che lei fa è riprendere bene le misure della camera, così piccola che l’unico letto che vi entra è da una piazza e mezza, per stare “vicini vicini”, e non c’è possibilità alcuna di un armadio (ma nell’idea che lei si era fatta anche in quei giorni all’hotel non erano previsti vestiti). Lo stesso per il riscaldamento, del quale non troppo si preoccupa, ecc…
Il personaggio di Jane Fonda è di quelli, simpaticissimi, iperattivi, che fanno della spensieratezza la loro ragione di vita, personaggio che contrasta fortemente con la razionalità di Redford, avvocato che cerca la scalata al successo. Ed ecco che la crisi fa capolino quando questi due mondi si scontrano al di fuori delle lenzuola, e fuori dall’abbraccio lei manifesta insicurezza, o meglio, non si sente a suo agio in una storia d’amore che non sia pura passione e spensieratezza. Lui fuori casa, lei in casa. Lui, in particolare, porta con sé una bottiglia di scotch e se ne va al parco, quello stesso parco sul quale era stato rimproverato, perché non voleva passeggiarvi a piedi nudi come invece lei voleva. Ma nella distanza lei capisce che, in fondo, ama davvero lui e lo torna a cercare, e lo vede scalzo che danza ubriaco nel parco: ora le parti si sono invertite, perché in lei c’è il senno dell’amore, mentre lui, ubriaco, fa esattamente quello che lei voleva e faceva in precedenza, per cui parafrasando si può dire che Jane Fonda risultasse “ubriaca d’amore”.
Il film poi sia avvia verso il lieto fine, ecc… e altri piccoli significati li lascio ritrovare a voi, non voglio rovinarvi il film... :) Particolare il fatto che in un film che sostanzialmente è un film d’amore, il vero “Ti amo” venga pronunciato alla fine, quando entrambi si avviano alla vera vita insieme fatta di amore passionale, spirituale e del quotidiano.
Ecco, finito il film cosa mi rimane? Penso si sia  capito… il film di per sé sembra davvero poca roba, ma porta a riflettere, e quindi diviene un gran bel film per il messaggio che riesce a comunicare. Sulla base di quanto proposto in USA dovremmo pagare 5€ per vederlo, dato il budget effettivamente di poco conto. Eppure, in realtà, questi sono i film migliori, quelli che lasciano una certa morale; anche se la città di notte risulta illuminata solo dai lampioni e non dallo spot con pipistrello, non vuol dire che non valga la pena di vedere il film.

Io personalmente rivedrei il film 4 volte. E forse una camminata a piedi nudi nel parco vale la pena farla, ogni tanto.




lunedì 10 giugno 2013

Sliding doors


Sì, lo confermo: ho una mente malata.
Chiunque ha giornalmente in mente tante cose, le sente alla tv, per lavoro, per passione. Ma le passioni sono, solitamente, qualcosa di rilassante; le parole che ogni tanto vengono in mente così, quando non si pensa a nulla, sono sicuramente legate al quotidiano, o a qualcosa che abbiamo vissuto e che sì è stabilito nel nostro inconscio, pronto a venire a galla.
Freud lo diceva, nulla avviene per caso, soprattutto perchè, come gli antichi latini insegnano ( a me no, visto che non ho studiato latino ;P ) :”Faber est suae quisque fortunae”, ognuno è artefice del proprio destino, quindi quello che noi pensiamo sia un deja- vù o simili potrebbe benissimo essere che lo abbiamo causato noi.
Quindi, adesso, proviamo a pensare a caso ad una parola, insieme.
Ecco, a molti sarà venuta in mente una parola di una canzone, Facebook, ecc...
Fortunati voi, a me l'altro giorno è venuto in mente questo: entanglement.
Ecco spiegato il meraviglioso preambolo che sembra essere il degno anticipo di un ricovero neuropsichiatrico.
Molti di voi forse non conosceranno questa parola, anche se mi vanto di pochi lettori ma acculturati. Per chi non conosce questa parola ne riporto la definizione di Wikipedia, e poi filosofeggiando un po' capirete come e perchè questa parola sia affascinante.
L'entanglement quantistico o correlazione quantistica è un fenomeno quantistico, privo di analogo classico, in cui ogni stato quantico di un insieme di due o più sistemi fisici dipende dallo stato di ciascun sistema, anche se essi sono spazialmente separati. Viene a volte reso in italiano con il termine "non-separabilità".
Letto questo, i pochi di voi che saranno ancora svegli si staranno chiedendo perchè quei due neuroni che ci sono nell'ampio del mio cranio non abbiano niente altro da fare che pensare a questo e, ovviamente, con tutto quello che ne segue, a tutti i vari principi della fisica ad esso collegati, come il paradosso EPR ( se ne volete una spiegazione scientifica vi rimando a wiki).
Zzz...zzz...zzz
Ok. Vediamo perchè ci dovrebbe affascinare un concetto che riguarda le particelle, che nulla sembra avere a che fare con il nostro mondo.
La definizione ha nascosto in sé questo: due particelle che vengono messe insieme possono influenzarsi l'un l'altra, anche se sono spazialmente distanti. Cioè le proprietà di una possono cambiare in ragione di quelle dell'altra.
Fantastico.
Pensate a quanto le particelle ci somigliano. Le persone sono come spugne, assorbono le une dalle altre, assumono comportamenti in funzione di come si comportano le altre.
Magnifico.
Ora passo all'interpretazione che mi piace di più.
Due persone lontane possono agire e influenzare ciò che succederà, magari ad altre, magari a sé. Anche la più piccola azione non è nulla, ma ha ripercussioni da qualche parte, per qualcuno. “Il battito d'ali di una farfalla può causare un tornado dall'altra parte del mondo”: avrete sentito questo concetto miliardi di volte, e in esso questo concetto racchiude anche quello di entanglement.
Visto che non è tanto lontano da noi???
Inoltre, come spesso mi capita, succede che le cose che sembrano venire in mente per caso, tali non sono. Ed ecco che, ragionando sull'entanglement, arrivo subito alla teoria che più amo, e che secondo me è qualcosa di talmente bello e profondo che sarebbe impossibile da spiegare in poche righe: la teoria dei gradi di separazione.
Vi riporto wiki ancora una volta ( proprio gliele farei ste donazioni a wiki per quanto ci aiuta!!!!)
La teoria dei sei gradi di separazione è un'ipotesi secondo cui qualunque persona può essere collegata a qualunque altra persona attraverso una catena di conoscenze con non più di 5 intermediari. 
 
Al giorno d'oggi i gradi di separazione sono molti meno ( pensate che tutti gli statunitensi possono essere messi in relazione con qualcosa come 3-4 gradi di separazione medi) però la teoria non perde il suo fascino.
Ora mettiamo insieme le due cose, così come piace fare a me.
Allora qualsiasi atto che compiamo influenza qualcos'altro, o qualcun'altro, o noi stessi.
Ognuno di noi può essere messo in contatto con un'altra persona secondo un numero finito di gradi di separazione.
Ecco che le nostre azioni possono portarci ad entrare in contatto con un'altra persona, secondo delle azioni che tendono ad accorciare la distanza in termini di gradi di separazione fino ad arrivare allo 0: abbiamo creato il destino.
Conoscersi è dicotomia, è un sistema binario, entrare in contatto significa generare una certa sequenza di 1 e 0 per cui si arriva ad incontrarsi, e non ci è dato sapere cosa sarebbe successo se al posto dello 0 ci fosse stato un 1, o viceversa, anche se molto spesso ci accorgiamo che magari ci saremmo incontrati lo stesso con qualcuno (ecco che entrano i gradi di separazione!)
Dai, non succede mai, ma una volta correggiamo i latini: il destino non è proprio, ognuno è artefice di qualcosa, e quel qualcosa si ritrova specularmente nel destino di qualcun'altro, quindi non esiste IL destino, ma I destini, e non sono mai propri, ma sono una sequenza di intersezioni di insiemi che non finiscono mai.
Ci si incontra per un motivo, perchè di ogni insieme esiste il complementare,o esistono I complementari e l'entanglement e i gradi di separazione ci portano ad incontrare chi ci è meno lontano, spazialmente e sociologicamente parlando.
Quasi quasi lo cancello il post, non mi piace molto.
Però se lo cancellassi, e non lo pubblicassi, mai nessuno forse vi direbbe dell'entanglement, e forse non googlereste, e forse non andreste a vedere la serie TV flashforward che spesso lo nomina, e forse non ricordereste di aver visto l'attore in shakespeare in love, e forse non ricordereste di aver visto quel film in classe, e forse non ricordereste quella ragazza che tanto vi piaceva, e non vi verrebbe in mente di cercarla su FB, e non vi accorgereste che non è impegnata, e non provereste a cercare di contattarla tramite amici in comune ( gradi di separazione), e non uscireste insieme, e non vi sposereste, e non avreste dei figli...
Mah, quasi quasi lo lascio, che male fanno queste poche righe.

venerdì 5 aprile 2013

Tra passato, presente e...

Quando accade un evento storico si fa a gara a chi dice per primo quella fatidica frase: "Io c'ero". È una frase che secondo me riprende involontariamente il "celo/mi manca" che da piccoli ripetevamo aprendo i pacchetti di figurine.
Ecco, io quell' "io c'ero" me lo rivenderei volentieri, e con me penso se lo sarebbero rivendute molto più volentieri altre 300 persone circa.
Non possiamo mentire, non possiamo fare gli ipocriti come i tg, come i politici, come chi guardando il calendario come controllasse il proprio onomastico ricorda che il 6 aprile qualcosa è davvero cambiato. Purtroppo.
Io, noi che eravamo lì quelle maledette ore ce le ricordiamo tutte. E la cosa più strana è che di solitocalla fine di una giornata tendiamo a dimenticare tutto quello che abbiamo fatto e passato nelle ore precedenti, e quella volta invece non è successo, contravvenendo a qualsiasi teoria della rimozione, piantando una bandiera, una tacca di riferimento, un qualcosa che segna il prima e il dopo. Si contano gli anni prima e dopo Cristo, prima e dopo il viaggio di Maometto, abbiamo mille calendari sparsi nel mondo, e noi ne abbiamo aggiunto nostro malgrado uno, non affiggendolo, non cerchiandolo di rosso ad ogni compleanno, non cerchiando alcuna data. Questo soprattutto perché,  effettivamente, noi sappiamo che quello che è successo è successo il 6 aprile perché lo abbiamo letto, scritto a caratteri cubitali dovunque, sui muri, sui giornali, perché per noi c'è solo un buco, una spaccatura fra la notte del 5 aprile e il resto del tempo. Io, personalmente, ricordo quella domenica, che poi era domenica delle palme, perché ero appena tornato a L'Aquila, come al solito su un pullman dell'Arpa cercando di vedere in qualche modo una partita dell'inter in streaming, una partita qualsiasi ma che, in realtà,  a un amico ha praticamente salvato la vita. E poi una serata con un altro mio grande amico passata al pub a vedere una partita di cui non mi fregava molto sinceramente, ma tant'é, bastava stare insieme. E quei maledetti seggiolini che iniziavano a tremare per le prime scosse alle quali ci eravamo tristemente abituati, ma che forse erano solo un avvertimento. Un avvertimento.
Avvertivano che qualcosa, che tutto sarebbe cambiato, che quelli che io continuo a descrivere come gli anni più belli della vita di un ragazzo, quelli dell'università, a noi non sarebbero stati riservati così,  a noi che fortunatamente siamo ancora tutti su questa terra il destino non aveva dato la possibilità di continuare un cammino insieme. Ed è ovvio e normale che ogni tanto ci si fermi a pensare a cosa sarebbe successo se nulla fosse successo, ma è altrettanto strano capacitarsi del fatto che è impossibile concepirlo, immaginarlo, perché appartiene tutto ad un'altra vita, perché tanto c'era prima e tanto è nato dopo, come se in un qualsiasi teatro la scenografia fosse ruotata completamente, lasciando i personaggi sempre uguali ma cambiando l'ambiente senza possibilità di rivederlo, portando con sé purtroppo anche parte del cast della nostra storia. Eh sì, proprio un cast, perché durante un film tutti gli attori entrano e escono in momenti diversi, pochi si incontrano per girare scene insieme, eppure alla cena finale si va tutti insieme perché ci si sente tutti parte della stessa pellicola. La vita non è un film, però, e mai frase scontata fu più esatta. La nostra paura è stata reale, l'immagine di me in un vicolo mentre dal cielo cadono pezzi di cornicione mi torna avanti ogni volta che passo in una stradina, la voglia di nascondersi a poche ore da quanto accaduto solo perché un treno aveva fatto vibrare le finestre io l'ho sentita, il mondo che tremava io l'ho visto, una vita che si frantumava davanti ai nostri occhi, che cambiava completamente faccia lasciando della vecchia solo una enorme cicatrice noi l'abbiamo vista. 
L'Aquila NOI l'abbiamo vista, e alcuni di noi continuano a vederla ripensando a come era, soffrendo per come è e non riuscendo a immaginare come sarà,  perché un muro come quello sul passato lo abbiamo sul futuro.
Dateci scopa e un secchio di colla, ad affiggere la nuova scenografia ci pensiamo noi. E tutta a colori.