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La frase magica, quella di una vita. Quella che suona come il
fischio finale dell’arbitro nell’ultima partita di un mondiale, che luccica
come il display che fa brillare un nuovo record. Un titolo, un nome, qualcosa
scritto sull’unico libro che non brucia, che aumenta ogni giorno di volume: il
tempo.
Storie belle, bellissime, a volte no. Opere d’arte, non
comprese da tutti, ma d’altronde se tutti capissero tutto non ci sarebbe nulla
da studiare…
“And the winner is…”
Il tuo nome, il tuo lavoro. Ogni goccia del tuo sudore
prende un peso particolare. Ogni lacrima, ogni stilla di sangue buttata in nome
di una idea; perché sì, ci credi, è quella giusta! È il giusto modo di
interpretare, sono le giuste luci, i costumi perfetti, le battute migliori, il
suono più paradisiaco.
È la giusta forza, il giusto effetto, la partenza esatta, la
curva più spinta…
“Thank you, grazie, merci, Danke”
Sì sono io, sono sulla cima dell’Olimpo, “sono il re del
mondo!” come Di Caprio sul Titanic. Sofferenza, dolori, insonnia…
Queste poche righe sono per me l’idea della vittoria, la
giusta introduzione per fare un po’ di sano spoiler- commento su un film che ha
portato a casa una statuetta.
No, non vi parlerò della Grande Bellezza ( o almeno non ora ),
ma dato il mio essere romantico vi parlerò di un altro dei film al centro dell’attenzione.
Dai, un po’ di sano spoiler va bene, se non altro perché vi
aiuterà ad apprezzare meglio il film se non lo avete visto ancora, o a capirlo
se già avete avuto questa fortuna.
Vi parlo di “HER”, o “LEI” in versione italiana, con protagonista
un grandissimo Phoenix.
Prima di introdurvi alla mia visione del film, vi riporto
alcune critiche che girano on line:
“Un film violento, violento contro lo spettatore”. The
Guardian.
“Oscar alla Grande Bellezza, ecco perché”. Le Monde.
“Miglior sceneggiatura originale, ma ad Aldo un decennio fa piaceva il TomTom”.
Il Corriere della Sera.
“Siri vaffanculo, il film”. The Japan Times.
“Purtroppo solo fantascienza, il sogno di spegnere la fidanzata”. Focus.
“Un film blasfemo, la cover deve coprire tutto tranne la fotocamera”. Al
Jazeera.
“3 attori e 4 doppiatori, i nuovi colossal low-cost”. Financial Times.
Ecco quello che gira su internet. Qualcuno diceva “nel bene
o nel male, purchè se ne parli”, ed è una frase giustissima (giusto un po’ meno
il comportamento di chi la diceva, ma lasciamo stare…) per il caso. Ma io vi
offro la mia visione del film o, meglio, della storia d’amore che è al centro
del film.
Nella vita reale non tutte le storie durano in eterno,
finiscono anche dopo molto tempo, e quasi sempre uno dei due è ancora molto
innamorato. Una storia importante inevitabilmente prende il posto di gran parte
dei neuroni che abbiamo nel cervello, e si impianta lì rimanendo in testa per
molto. Una mosca, o meglio una falla che si cerca di tappare subito per evitare
che ne esca fuori sofferenza. Immaginate di riempire un palloncino, di esservi
sforzati davvero tanto e poi puff, un forellino o un buco vero e proprio che lo
fa sgonfiare. La prima cosa che si cerca è scotch, nastro di qualsiasi natura,
e il palloncino si tappa.
Ma non è più lo stesso palloncino.
Nastro su nastro, colla, l’aria non esce, ma il palloncino
non è più lo stesso, e prima o poi dovremo buttarlo.
Ecco, per tappare la falla dalla quale uscirebbe sofferenza
in forma di ricordi si cerca la forma più semplice e immediata di contatto, nonché
la più forte: il contatto corporeo, che coincide con la sessualità nel caso
dell’amore.
Poco importa chi o che cosa, brutta o bella: la questione
fondamentale è il contatto. Ed ecco che la corporalità, o meglio la
considerazione del corpo scompare, si abbandona l’importanza dell’apparenza in
favore della ricerca del piacere personale. E quando ad una persona togli il
corpo, resta l’anima o, nel caso di contatto di tipo sessuale, la voce. Ecco perché
si cerca la voce amica al telefono, o ecco perché la fase successiva è la voce
amica che esce da un computer.
Ma cosa succede se la voce amica inizia a stimolarci? Cosa succede
se quella voce inizia, in modo figurativo ,a scoprire pian piano quel cerotto
che copriva tutto? Inizia ad uscire fuori il ricordo, ma il ricordo che fluisce
piano piano non diventa depressione o nostalgia, ma si trasforma in stato d’animo.
Se pensate ad un disastro nella sua interezza sentite tristezza e sconforto immediatamente,
ma se lo pensate attimo per attimo ciò che succede è che l’ansia inizia a
salire… ciò che istantaneamente arriverebbe in testa in modo immediato parte
lentamente dal cuore.
Ecco cosa succede.
Se ci piace l’anima di una persona, ecco che la corporalità
non diventa importante. E quale è il modo migliore per rendere partecipi gli
altri della nostra anima? La voce.
La situazione da fotografare è questa: lui, fuori da una
storia, che cerca di ricominciare lentamente; lei, nuova, che cerca di
cominciare. Lui che dice arrivederci alla corporalità, lei che non ancora la
conosce…
Si incrociano. Si seguono. Crescono insieme, ma lei più
rapidamente. Si potrebbe quasi dire che l’elettronica si scalda più rapidamente
del cuore umano, volendo passare ad un commento tipo leggi di trasmissione del
calore, ma non lo diciamo ;) .
Ed ecco che cosa succede. Si trovano ad uno stesso livello,
ma da due parti opposte, come su una gaussiana il cui picco è l’amore fisico.
Lei sale rapidamente, ed arriva alla spasmodica ricerca del contatto fisico.
Lui, che arriva a questo nuovo amore dopo la sessualità, è
più lento nella risalita, perché per inerzia è portato a cercare un tipo di
amore che lo soddisfi spiritualmente.
Quando lei si trova sulla sommità, quando arriva a “imporre”
il contatto fisico lui cerca questa risalita, ma l’inerzia del rapporto dal suo
punto di vista fa sì che non ci riesca. Ci prova, cerca di nuovo la pura
corporalità, ma quando l’amore vince nel suo animo egli cerca di legare la
corporalità all’animo della persona che ama, e che non è quella che ha davanti.
Ed è qui, davanti a due bisogni che non vanno d’accordo l’uno con l’altro, che
si rovina il rapporto.
Le fasi finali, per i due protagonisti, sono completamente
diverse. Lui, l’uomo, sente il sentimento della gelosia. Lei, la macchina,
sente il sentimento dello “sharing”, che non ammette gelosia. Se chi amiamo ci
dice di stare bene con altre 10000 persone, nessuno di noi si sente unico e
abbandona la persona amata. Moltiplicate questo gesto per 10000 e avete la chiusura del sistema
operativo dell’anima, che non si sente più amata da nessuno e per questo non ha
ragione di esistere. Il sistema operativo esiste se c’è qualcuno a dargli l’imprinting,
ma se lo abbandoniamo e non lo alimentiamo più con i nostri stati d’animo
allora muore.
Ed ecco che ci ritroviamo soli, ma colleghi di sofferenza
con chi ha passato le nostre stesse avventure, e che può offrirci un abbraccio,
un contatto fisico unito ad un sentimento, un qualcosa che non presenti
differenziazione fra contenitore e contenuto, il giusto punto di partenza per
tornare ad innamorarsi di nuovo di una persona vera.
Questa è stata la mia visione del film. E la vostra?
Non sono mai "felice" il giorno del mio compleanno, sono quasi sempre assorto in centinaia di pensieri e questa cosa mi capita da sempre. Divento nostalgico ed eccessivamente riflessivo. Non avrei quasi voglia di festeggiare. Inizio a girovagare indefinitivamente con il pensiero, per tutto il giorno. Ripenso ai compleanni passati, alle persone che hanno festeggiato con me, ai cambiamenti che ci son stati tra un compleanno e l'altro.
La verità, conosciuta da tutti. è che viviamo in un Universo quadridimensionale, il cosiddetto spaziotempo. Come il nome stesso afferma, ci sono le tre dimensioni spaziali, lunghezza, larghezza e profondità, ed il tempo.
Man mano che cresciamo iniziamo a prendere confidenza con queste dimensioni. Dapprima ci vengono posti problemi monodimensionali. Uno dei primi problemini matematici che ricordo, posto forse in prima elementare dalla maestra, è quello della lumaca e del palo: "una lumaca cerca di salire un palo alto 5 metri; di giorno sale 3 metri, mentre di notte scende 2 metri. Quanto tempo impiega a raggiungere la cima del palo?".
Successivamente, siamo passati ai problemi in due dimensioni. Ricordo ancora un giochino che ci pose il Professore di Disegno alle Medie: "C'è un prato ricoperto di fiori. Ogni giorno, la superficie del prato ricoperta dai fiori raddoppia. Se il prato viene ricoperto interamente da fiori in 9 giorni, quanti giorni hanno impiegato i fiori a ricoprire metà del prato?"
E poi, ovviamente, siamo stati educati ai problemi spaziali, dal calcolo dei volumi delle figure geometriche più conosciute, come il cubo e la sfera.. ai problemi inerenti la densità dei corpi.
Celebre la domanda di un Professore: "Signorina, lei, al mercato, acquista l'olio dove si vende a 6 euro al kilo oppure dove si vende 6 euro al litro?"
Con la crescita però ci rendiamo conto che la dimensione più importante tra le quattro espresse sopra, è il tempo.
Da piccoli non ci ritroviamo quasi mai a confrontarci con esso. Quasi non lo percepiamo. Poi cresciamo e iniziamo a conoscerlo, comprenderlo, valutarlo e valorizzarlo. Cresciamo e diventiamo autonomi, quindi possiamo scegliere (quasi sempre) dove vivere. Possiamo scegliere latitudine, longitudine e altitudine. Ma non abbiamo alcun potere sul tempo. Commettiamo lo stupido errore di sprecarlo e lo facciamo in innumerevoli modi. A volte siamo troppo nostalgici riguardo i tempi passati. Si dice che chi vive di ricordi non abbia un futuro. Concordo ma non pienamente; se si hanno dei bei ricordi è giusto tirarli fuori ogni tanto e riviverli con le persone che ne fanno parte. Altre volte ci preoccupiamo troppo per il futuro, magari ponendoci dei limiti.
Mark Twain diceva: " Tra vent'anni non sarete delusi delle cose che avete fatto ma da quelle che non avete fatto. Allora levate l'ancora, abbandonate i porti sicuri, catturate il vento nelle vostre vele. Esplorate. Sognate. Scoprite."
Spesso sprechiamo il nostro tempo condividendolo con persone che non lo meritano, e ci rendiamo conto che avremmo potuto dedicarci ad altre. Altre volte lo sprechiamo non facendo proprio nulla.
Quante volte ci è capitato di pensare: "Ah, se solo potessi tornare indietro", oppure, "se solo avessi potuto fermare il tempo in quell'istante"...
Non possiamo fare nulla di tutto questo. Non possiamo controllare il tempo. Esso scorre inesorabilmente per tutti ed una volta trascorso non torna più indietro.
Prima comprendiamo questo semplice e banale concetto e prima inizieremo a Vivere. Ma non vivere come facciamo di solito, travolti dalla "quotidianità", dalle "responsabilità, dagli "impegni".. dai ritmi frenetici che la società ci impone.
Inizieremo ad assaporare ogni momento trascorso con la famiglia, con gli amici o con dei semplici conoscenti, come se fosse irripetibile, quindi unico. Perchè poi, quel momento, a guardare bene, è irripetibile.
Cercheremo di guardare con meraviglia qualsiasi meandro della città, quella piazzetta non frequentata mai da nessuno ma che per te ha un clima surreale o magari cercando di scrutare dietro quel portone o cancello di fronte al quale passiamo ogni giorno, dietro potrebbe esservi nascosto un meraviglioso giardino.
Cercheremo di non mancare a nessun pranzo di famiglia e a nessuna cena tra amici, o comunque di viverla sempre con estrema gioia. Ameremo ogni alba ed ogni tramonto. Apprezzeremo ogni passeggiata lungo mare, sia essa d'inverno oppure d'estate e ogni corsetta per le vie della nostra città. Non perderemo tempo nel far cose che non ci piacciono e con le quali non esprimiamo le nostre vere potenzialità. Rideremo sempre e comunque. Non saremo timidi nel dare un abbraccio alle persone cui vogliamo bene o nell'esprimere i nostri sentimenti.. potrei continuare all'infinito con gli esempi ma basterebbe dire che non sprecheremo il nostro tempo.
Il tempo non si può fermare, non lo si può far tornare indietro. Esso procede in un unico verso. E la verità, come sappiamo, è che potrebbe stopparsi in qualsiasi istante.
Credo che una volta compreso questo concetto, ultra semplice ed enormemente complesso al tempo stesso, inizieremo realmente a Vivere (e forse a scattare fotografie)
Il tempo scorre sempre, secondo dopo secondo, indipendentemente da latitudine, longitudine e altitudine e non possiamo e dobbiamo dimenticarlo.
Prima di parlare del mio secondo post non posso non parlare
del mio primo post su questo blog. Risale a circa 8 mesi fa. Molti di voi
nemmeno mi conosceranno, perché la mia assenza/falsa presenza è stata un po’ la
costante in tutti questi mesi. Mi rimane difficile trovare l’ispirazione, certe
notti (non quelle di Ligabue) c’ho provato seriamente a scrivere qualcosa ma
l’unica cosa che mi passava in mente era una banalità anche peggiore di queste
4 righe buttate giu’ finora. A me la banalità non piace. Aspettate, non sempre.
Diciamo che qualche volta è necessario parlare, dire, scrivere banalità. Molte
persone vivono di banalità e lasciano che la loro esistenza sia segnata da
questa caratteristica e preferiscono o non sanno come lasciare il segno. Già,
lasciare un segno. Vi chiedo cosa significa per voi lasciare il segno. Mi è
venuta in mente di colpo un’immagine tratta dal film 21, nel quale il
protagonista Ben Campbell consegna la sua domanda di borsa di studio per la Harvard Medical School e il preside (o qualcosa del genere)
gli dice che quella borsa viene assegnata a qualcuno che “strega”, a qualcuno
che salta subito agli occhi. (vi consiglio di vedervi il film se non l’avete
già fatto). Cosa significa per voi saltare subito agli occhi? Che tipo di
persone vi colpiscono positivamente e quali negativamente? Una massima a me
cara è questa:
“Non c'è mai una seconda occasione per fare una buona
impressione la prima volta”
I primi link di Google l’attribuiscono ad Oscar
Wilde, come il 99,7% altre citazioni che rimbalzano sul web, Facebook etc. Per me la prima impressione che ho su una
persona conta tantissimo. Eppure, se ci pensate bene, i rapporti cominciano sempre da una banalità,
da una affermazione banale, da una presentazione banale e poi, a seconda delle
persone coinvolte, evolvono in una direzione piuttosto che in un’altra. Dipende
da noi decidere quanto banale deve essere la nostra banalità (concedetemi
questa affermazione tautologica e anche un po’ “marzulla”). Paolo Villaggio,
nell’introduzione del libro “Fantozzi” (ne conservo una copia nel bagno per una
lettura e una dose di autostima mattutina) parla della sua capacità di
ricondurre qualsiasi discorso sempre sui soliti 5 argomenti “collaudati”, tanto
da intrappolare salotti romani, tavolate di ristoranti milanesi alla moda etc. Per
Villaggio, i 5 argomenti collaudati erano “il passaggio dal socialismo al
comunismo, nuovi esempi di cinema underground americano, il secolo di Luigi
XIV, magia e ipnotismo, sud-est asiatico”.
Chi di noi non ha un argomento collaudato? Tutti ce l’abbiamo (spero). E’
un po’ come l’argomento a piacere all’esame dell’università preparato il giorno
prima. Ci sono cose di cui preferiremmo parlare e di cui magari riusciamo a dare anche
l’idea di essere tra i più grandi esperti in circolazione. I miei argomenti
collaudati sono sostanzialmente la musica e il doppiaggio e mi piacerebbe tanto
collaudare anche la fotografia. Queste cose provocano in me qualcosa di bello e
di fortemente personale, suscitando delle emozioni che poi si traducono nel
desiderio di condividere con gli altri la bellezza che io riesco a trovarci.
Allora vorrei rivedere con voi l’idea di banalità, correggendola a valle delle
considerazioni e di ciò che ne è appena venuto fuori. Cos’è la banalità? La
banalità è una qualunque cosa priva di emozioni, di alcun sentimento (positivo o
negativo che sia), qualsiasi cosa che nasce e muore nello stesso momento,
qualcosa che non è sopravvive a sé stesso, qualcosa che non verrà mai più ricordato
e ripensato. La banalità è indifferenza verso ogni situazione, che sia un
sorriso, un “ciao”, uno sguardo. I piccoli gesti, quelli semplici, quelli più comuni
(quelli che dovrebbero essere più spontanei) sono quelli che rischiano di più
di essere sommersi dalla banalità. E se penso a come evitare di cadere in
questo turbine di banalità, penso ai miei amici, all’ultimo giovedi in cui ci
siamo divertiti insieme e al modo che abbiamo in comune di vedere la vita… e mi
viene in mente una frase di una canzone di Lucio Dalla:
“cosa sarà che ci fa lasciare la bicicletta sul muro e
camminare la sera con un amico a parlare del futuro”
E anche se questa frase allude ad un’immagine di amicizia un
po’ vecchia, quasi abitudinaria, la cosa più sbagliata che si possa pensare è
che essa sia semplicemente “banale”.
San Valentino penso sia un po’ come Natale, con la piccola
differenza che, oltre ad essere tutti più buoni, si è anche tutti un po’ più
innamorati. Cuori, cuoricini,
piccioncini, palloncini, pupazzetti: chi più ne ha più ne metta. Chi non ha letto
il vecchio post di questo particolare giorno può leggerlo (http://imitazionedellavita.blogspot.it/2012/02/be-my-valentine.html),
ma ora cambiamo un po’ timbro. Le luci, gli “spot” , come si direbbe sul
palcoscenico, sono puntati sul senso dell’amore, e più in particolare sull’amore
fra persone dello stesso sesso; argomento quando mai spinoso, che lascia adito
a mille mila interpretazioni, opinioni, critiche, occhi sbarrati o
esterrefatti.
Non so se vi è capitato di vedere quel video su
internet in cui dei bambini vengono
intervistati riguardo a cosa sia l’amore e a cosa pensano dell’amore
omosessuale (se non lo avete visto ve lo incorporo nel post, così potete
farlo); dopo un primissimo senso di sbigottimento, e dopo che qualcuno ha
addirittura confidato quelli che sono i sentimenti dei propri genitori a
riguardo ( assolutamente non condivisibili ), la loro risposta è più o meno
univoca: se si vogliono bene il problema dove è?
Sapete perché i bambini rispondono così, e risponderebbero
così anche alcuni adulti? Ve lo spiego io in una parola unica, anzi più unica
che rara al giorno d’oggi: AMORE.
I bambini focalizzano la loro attenzione sulla parola “Amore”,
gli adulti (o alcuni adulti) la focalizzano sulla parola “omosessuale”, e non
è una novità questa constatazione: chi conosce il sesso inevitabilmente vede l’amore
un po’ più dietro le quinte, o almeno non lo vede come lo vedeva prima. Il protagonismo di quello che è il sentimento
più bello diventa co-protagonismo all’edonismo sessuale, l’innocenza del bacio
pieno di emozione sfuma i propri contorni in favore di una silhouette fisicamente
attraente, il monopolio del battito accelerato cade in favore di un oligopolio
di emozioni, di pensieri più o meno scabrosi.
Ecco l’amore degli adulti.
Vedete, per l’amore potrebbe essere realizzato un quadro molto molto simile a quello che Tiziano ha
realizzato narrando le tre età dell’uomo, ma con una maggiore vicinanza fra la
figura anziana e quella bambina.
Tiziano: "Le tre età dell'uomo"
Infatti l’anziano, che si stacca dal desiderio
sessuale, torna ad una concezione dell’amore che è molto più vicina a quella
del bambino rispetto a quello dell’adulto, più votata al sacrificio per l’altro
e alla tenerezza. L’anziano, tuttavia,
conserva il moralismo dell’adulto, ossia conserva il pensiero sessuale dell’adulto,
e pertanto risulta comunque critico nei confronti dell’omosessualità. Ma allora,
quale è la giusta concezione dell’amore? Io non sono qui per insegnarvi
qualcosa, non posso farlo e non voglio ambire a posizioni che non mi spettano,
non voglio girare con un pullmino al suono di improbabili riarrangiamenti di
canzoni dei Beatles, ma voglio invitarvi a riflettere. I vostri figli, i vostri
nipoti o cugini hanno imparato la sessualità grazie ad un vostro esempio o
spiegazione, o piuttosto hanno appreso tutto dal mondo che li circonda, dal
cinema, dalla tv, dai libri, dalle 50 e più sfumature, dai “Porky’s” o “porci
con le ali” più diffusi?
Riflettete, ora che è il periodo dell’amore, sul vero
significato di questa parola e guardate che anche il Treccani segue lo sviluppo
dell’idea di Amore che abbiamo noi: da “Sentimento di viva affezione verso una
persona che si manifesta come desiderio di procurare il suo bene e di
ricercarne la compagnia” a “Sentimento che attrae e unisce due persone
(ordinariamente ma non necessariamente di sesso diverso), e che può assumere
forme di pura spiritualità, forme in cui il trasporto affettivo coesiste, in
misura diversa, con l’attrazione sessuale, e forme in cui il desiderio del rapporto
sessuale è dominante, con carattere di passione, talora morbosa e ossessiva.”
Ho sempre pensato che quando si è in viaggio non ci si
sposti solo fisicamente: il vero viaggio è nella nostra mente. Però se a viaggiare si è in due, allora
matematicamente ciò si esprime con ∞2, dato che la mente umana è
davvero sconfinata…
Tutto ciò per dirvi e per raccontarvi questa scena dal mio
punto di vista. In viaggio con l’amico sul treno e ti arriva quello che non ti
aspetti proprio lì, sul tavolino di un Frecciabianca qualsiasi, quasi fosse un
kit di sopravvivenza: busta di caramelle gommose a forma di cuore e Moleskine.
Due secondi che mi hanno spiazzato, soprattutto perché prendendo
in mano il taccuino quello che vi ho scorto dentro erano rotori, divergenze, e
tanta altra robaccia matematica che non è parte fondamentale di questo
post. Ma no, non era quello il fine del
blocco, bensì un brainstorming per quello che dovrebbe essere il nuovo simbolo
rappresentativo del blog.
L’idea c’era, mancava il “nero su bianco”, che ovviamente si
è affacciato fra le mille pagine di quello storico libercolo bianco sporco, e
insieme a tratti sconfinati sulla carta cominciavano a fluire i discorsi, che
inevitabilmente finivano sul blog.
Uno dei discorsi di fondo è stato che a noi piace essere
parte di un blog aspecifico perché “ se un giorno dovesse succedere qualcosa di
brutto, chi mi ha conosciuto avrà in quello che ho scritto un pezzo di me, e
chi non mi ha conosciuto saprà chi sono stato” (concetto che in quel momento
non ho esplicitato io, ma che è stato più che mai calzante alla luce degli
ultimi avvenimenti di cui non vi sto a parlare…). Aspecifico ma non a-tematico,
come vi ho già raccontato in un altro post (http://imitazionedellavita.blogspot.it/2014/01/blog-bloche.html#more),
perché è bello riflettere a voce alta, è bello fare in modo che, se il nostro
sguardo si poggia anche solo per un secondo per ammirare la meraviglia di un
oggetto, di un istante o di qualsiasi altra situazione, tutti possano essere
resi partecipi di quel qualcosa. I momenti durano poco, in pratica un attimo,
ma possono essere di una bellezza incredibile, o comunque attirare la nostra
attenzione. Cerchiamo di porre la nostra attenzione solo sulle cose più belle,
e godiamocele fino in fondo, fino all’ultima stilla di dolce nettare di
emozione che ne possa derivare…
In queste frasi trovate quello che è un anticipo del nuovo
logo del blog: una farfalla stilizzata che poggia aiutando a delineare la
parola “LIFE”. La farfalla vive poco, ma è un concentrato di bellezza che
poggia solo sui fiori più belli, ed è questo quello che vogliamo sia la vita
che vi raccontiamo e che voi, seguendoci, ci raccontate. E ci raccontate tutto
con i vostri like, le vostre visite, da ormai 2 anni da oggi, perché se esiste
un “happy blogday” per noi è il secondo e vi ringraziamo di tutto questo.
Partecipate, scriveteci ,chiedeteci, criticateci, amateci, odiateci, like,
dislike quello che volete, ma se anche un secondo della vostra vita lo dedicate
a poggiare lo sguardo su quello che vogliamo comunicarvi allora ci renderete il
fiore più bello.
Vi abbiamo parlato di cinema, di relazioni personali, di
destino, di sliding doors e di tecnologia, di fede e di scienza, del subatomico
e dei legami universali, sempre con ironia, con voglia di cercare critica e
approvazione, e con la voglia di regalarvi in pochi caratteri un momento tutto
nostro e vostro per riflettere, per un “ah però” o per un “ma che c***o dice” o
per qualsiasi altra esclamazione.
Grazie, davvero grazie per essere così tanti e per seguirci.
E un piccolo regalo per farvi sorridere di quanto siamo “scarsetti” nel disegno
ve lo facciamo: vi facciamo vedere le pagine dell’agenda Moleskine famosa.
E insieme a queste immagini, nelle quali si intravede già il
nuovo logo, vi racconto un piccolo aneddoto sul simbolo. Eravamo, come vi ho
detto prima, sul treno mentre pensavamo a questo logo, e la farfalla ci piaceva
molto come idea, ma qualcosa comunque continuava a farci riflettere e dubitare.
Ci trvavamo in metro verso la Chiesa di Santa Maria delle Grazie, dove è
affrescato il cenacolo di Leonardo. Scendiamo dalla metropolitana e,
continuando a riflettere sul logo, saliamo le scale per “tornare a riveder le
stelle” ed ecco cosa ci si para di fronte:
vi ho scritto tante volte del destino, e questa è ancora una
volta una prova di quello che vi ho raccontato.