Prima di parlare del mio secondo post non posso non parlare
del mio primo post su questo blog. Risale a circa 8 mesi fa. Molti di voi
nemmeno mi conosceranno, perché la mia assenza/falsa presenza è stata un po’ la
costante in tutti questi mesi. Mi rimane difficile trovare l’ispirazione, certe
notti (non quelle di Ligabue) c’ho provato seriamente a scrivere qualcosa ma
l’unica cosa che mi passava in mente era una banalità anche peggiore di queste
4 righe buttate giu’ finora. A me la banalità non piace. Aspettate, non sempre.
Diciamo che qualche volta è necessario parlare, dire, scrivere banalità. Molte
persone vivono di banalità e lasciano che la loro esistenza sia segnata da
questa caratteristica e preferiscono o non sanno come lasciare il segno. Già,
lasciare un segno. Vi chiedo cosa significa per voi lasciare il segno. Mi è
venuta in mente di colpo un’immagine tratta dal film 21, nel quale il
protagonista Ben Campbell consegna la sua domanda di borsa di studio per la Harvard Medical School e il preside (o qualcosa del genere)
gli dice che quella borsa viene assegnata a qualcuno che “strega”, a qualcuno
che salta subito agli occhi. (vi consiglio di vedervi il film se non l’avete
già fatto). Cosa significa per voi saltare subito agli occhi? Che tipo di
persone vi colpiscono positivamente e quali negativamente? Una massima a me
cara è questa:
“Non c'è mai una seconda occasione per fare una buona
impressione la prima volta”
I primi link di Google l’attribuiscono ad Oscar
Wilde, come il 99,7% altre citazioni che rimbalzano sul web, Facebook etc. Per me la prima impressione che ho su una
persona conta tantissimo. Eppure, se ci pensate bene, i rapporti cominciano sempre da una banalità,
da una affermazione banale, da una presentazione banale e poi, a seconda delle
persone coinvolte, evolvono in una direzione piuttosto che in un’altra. Dipende
da noi decidere quanto banale deve essere la nostra banalità (concedetemi
questa affermazione tautologica e anche un po’ “marzulla”). Paolo Villaggio,
nell’introduzione del libro “Fantozzi” (ne conservo una copia nel bagno per una
lettura e una dose di autostima mattutina) parla della sua capacità di
ricondurre qualsiasi discorso sempre sui soliti 5 argomenti “collaudati”, tanto
da intrappolare salotti romani, tavolate di ristoranti milanesi alla moda etc. Per
Villaggio, i 5 argomenti collaudati erano “il passaggio dal socialismo al
comunismo, nuovi esempi di cinema underground americano, il secolo di Luigi
XIV, magia e ipnotismo, sud-est asiatico”.
Chi di noi non ha un argomento collaudato? Tutti ce l’abbiamo (spero). E’
un po’ come l’argomento a piacere all’esame dell’università preparato il giorno
prima. Ci sono cose di cui preferiremmo parlare e di cui magari riusciamo a dare anche
l’idea di essere tra i più grandi esperti in circolazione. I miei argomenti
collaudati sono sostanzialmente la musica e il doppiaggio e mi piacerebbe tanto
collaudare anche la fotografia. Queste cose provocano in me qualcosa di bello e
di fortemente personale, suscitando delle emozioni che poi si traducono nel
desiderio di condividere con gli altri la bellezza che io riesco a trovarci.
Allora vorrei rivedere con voi l’idea di banalità, correggendola a valle delle
considerazioni e di ciò che ne è appena venuto fuori. Cos’è la banalità? La
banalità è una qualunque cosa priva di emozioni, di alcun sentimento (positivo o
negativo che sia), qualsiasi cosa che nasce e muore nello stesso momento,
qualcosa che non è sopravvive a sé stesso, qualcosa che non verrà mai più ricordato
e ripensato. La banalità è indifferenza verso ogni situazione, che sia un
sorriso, un “ciao”, uno sguardo. I piccoli gesti, quelli semplici, quelli più comuni
(quelli che dovrebbero essere più spontanei) sono quelli che rischiano di più
di essere sommersi dalla banalità. E se penso a come evitare di cadere in
questo turbine di banalità, penso ai miei amici, all’ultimo giovedi in cui ci
siamo divertiti insieme e al modo che abbiamo in comune di vedere la vita… e mi
viene in mente una frase di una canzone di Lucio Dalla:
“cosa sarà che ci fa lasciare la bicicletta sul muro e
camminare la sera con un amico a parlare del futuro”
E anche se questa frase allude ad un’immagine di amicizia un
po’ vecchia, quasi abitudinaria, la cosa più sbagliata che si possa pensare è
che essa sia semplicemente “banale”.
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