martedì 8 ottobre 2013

Un disordine che dura una vita

E anche quest'anno l'estate è finita.
Eh si, per me l'estate finisce quanto torno dall'Albania. Sono nato a Durazzo e da più di venti anni vivo in Italia. 
Una volta, quando frequentavo le scuole elementari e medie, si trascorreva l'intera estate in Albania e la si riteneva conclusa quando si faceva ritorno in Italia, giusto qualche giorno prima la riapertura delle scuole. Col passare degli anni, a causa degli impegni crescenti, abbiamo iniziato ad andare ogni due anni, poi ogni tre.. e così via. Questa volta vi ho fatto ritorno dopo ben cinque anni.
In questo post voglio condividere la riscoperta di questo Paese  poco conosciuto, se non tramite pregiudizi che si son imposti nell'arco degli ultimi trent'anni e che tendono a considerarlo come un luogo quasi da terzo mondo, privo di ogni possibile attrazione. Questo fatto è dimostrato anche dalla domanda che ci ha posto un tizio alla dogana mentre si andava in Albania. In macchina eravamo cinque (Io, i miei genitori, mia sorella ed il compagno). Con le nostre cinque Carte d'Identità in mano il tizio chiede: "Cosa vanno a fare cinque italiani in Albania?" e babbo col sorriso: "Una gita." Il tizio lo guarda e si mette a ridere: "Ahahahah. Una gita in Albania."
Posso assicurare che, se si visita questo paese privi di pregiudizi, ne verrà fuori un viaggio unico ed irripetibile e non si potrà far altro che salutare l'Albania con una piccola lacrima pronta a scendere da ambo gli occhi.
Le cose che possono colpire uno straniero appena sbarcato in Albania sono più o meno infinite. 
Nelle grandi città, come Tirana e Durazzo, si rimane frastornati dal rumore del traffico. Non esiste Codice della strada. Non si ha il concetto di rotonda. Non si ha il concetto di "precedenza". Questa parola non esiste. Se ci si ferma per far attraversare la strada ai pedoni sulle striscie pedonali quelli dietro attaccheranno il loro palmo sul loro clacson. Le rotonde a Tirana sono incommentabili. Diventa una guerra entrarne ed uscirne. Le macchine ti tagliano la via da destra e da sinistra. Si sentono solo i clacson. Quando ne esci tiri un sospiro di sollievo e rilassi tutti i muscoli della schiena. Provoca molta più adrenalina l'attraversamento di una rotonda in Albania che il Katun a Mirabilandia.
La strada che collega Durazzo a Tirana viene chiamata Autostrada. Il problema è che in questa "Autostrada", dove si cammina per davvero, puoi trovare persone che passeggiano a bordo strada, carrozze trainate da cavalli, trattori, mucche, cinquantini.. e persino un gruppo di ciclisti. Tutte le considerazioni su traffico e la viabilità possono essere superate solo in un modo: spegnendo il cervello. Non bisogna ragionare e chiedersi il perchè di tante manovre insensate ed contro ogni codice. Le statistiche dicono che gli incidenti vedono prevalentemente coinvolti stranieri. E grazie! Se ti fermi sulle striscie pedonali e al semaforo puoi rischiare di essere tamponato perche quello dietro non concepisce proprio che te possa fermarti per far attraversare un povero pedone. Se stai percorrendo la rotonda e non fai attenzione (come è giusto che sia perchè chi è immesso nella rotonda ha la precedenza) alle macchine che arrivano, vieni colpito in pieno.
Quindi, prima regola, guidare come fanno tutti gli altri.
Per non parlare poi dei cavi elettrici. Ad un palo della luce sono attaccati almeno un centinaio di cavi, la cui densità fa pensare che quella strada sia attraversata contemporaneamente da centodifferenti linee di filobus.
Forti emicranie ed un senso di disordine e di caos ti colpiscono quando osservi i palazzi delle città. Si possono tranquillamente trovare palazzoni di venti piani e lussuosi centri commerciali sovrastare cadenti case secolari. A partire dagli anni '90 c'è una stata un'edificazione spaventosa, spesso senza criterio e senza ordine. In molti casi, le persone hanno provveduto da se ad aggiungere un pezzo al loro palazzo, occupando magari il marciapiede, oppure costruendo balconi in vie strettissime, sino a trovare casi in cui due balconi di due palazzi separati da una via arrivano quasi a sfiorarsi.
Un altro aspetto che colpisce immediatamente lo straniero è l'amore del popolo albanese per le macchine di grossa cilindrata. Son convinto che l'Albania sia il luogo ultimo di tutte le Mercedes del mondo. Sette/otto macchine su dieci sono Mercedes.
Quelli appena elencati, sono solo alcuni degli aspetti che attirano immediatamente l'attenzione dello straniero.
Per capire l'indole ed il carattere degli albanesi occorre ovviamente vivere per le vie ed osservare le persone.
Se entri in una delle moltissime sale biliardo sparse per la città osserverai sempre, oltre alle nuvole di fumo, uomini che discutono animatamente. Quando si gioca, a qualsiasi cosa, carte, biliardo, calcio, scacchi, ping-pong... la discussione è sempre lì pronta a scoppiare. L'albanese non accetta di perdere, è molto competitivo. Quando si gioca non esiste la parola "Amicizia". Si discute animatamente, ci si attacca ad ogni possibile errore dell'avversario. Finita la partita ed abbandonata la sala da biliardo, si ritorno amici. Ho trascorso la mia vita ad osservare il mio babbo discutere animatamente con i suoi migliori amici. "Hai toccato la pallina con la maglia, il tuo tiro è nullo" (se giocano a biliardo). "Hai battuto cercando di nascondere la pallina con la mano sinistra" (se giocano a ping-pong). "Se hai toccato quella pedina la devi spostare, non mi interessa che stavi solo ragionando" (se giocano a scacchi).
Gli albanesi parlano tranquillamente tre o quattro lingue. Non cercate di parlare italiano per non farvi capire, perché non esiste albanese che non sappia parlare italiano. Lì, grazie alla parabola, si guarda la tv italiana. 
Il compagno di mia sorella è rimasto sbalordito perché tutti i miei parenti, da più piccoli ai nonni e zii ottantenni, parlano perfettamente italiano.
Sono rimasto sbalordito quando nella città di Kruja, la città natale dell'eroe nazionale albanese Giorgio Castriota Scanderberg, un signore molto anziano, che ipotizzo potesse avere almeno ottant'anni, si è rivolto a me in inglese, credendomi forse anglosassone. E pensare che in Italia l'inglese è spesso visto come una lingua molto difficile da imparare anche dopo anni e anni di studio. Da premettere che, una cosa che ci aveva sconvolti tutti, mentre si andava nella città di Kruja, era stata la visione di un tavolo da biliardo in mezzo alla strada, a cielo aperto, con le persone che vi giocavano tranquillamente mentre il traffico impazzava attorno a loro.
Un altro aspetto che si coglie dopo qualche giorno che si gira, è l'enorme cordialità ed ospitalità delle persone. Tutti, tassisti, baristi, camerieri... oltre ai normali saluti, ti chiedono come stai. E lo fanno col sorriso.
La cordialità è disarmante. Per non parlare della correttezza. 
Insomma, in Albania si può assistere a tutto ed al contrario di tutto. Vengono raggiunti gli eccessi in ogni aspetto della vita quotidiana. L'importante è chiedersi il perché di tali comportamenti. Quando non capisco il perché di molte scelte o di modi di vivere delle persone locali cerco sempre di contestualizzare ricordandomi che l'Albania esce da una dittatura durata decenni, che ha lasciato il popolo povero e senza un soldo, senza macchine e senza case, quindi comprendo il perché di macchine da centinaia di migliaia di Euro e di ville ultra appariscenti.
L'aspetto forse meno conosciuto dell'Albania è la sua maestosità ambientale. Si può tranquillamente confondere una località balneare del sud dell'Albania con una spiaggia Tropicale. Ci sono laghi e fiumi bellissimi. L'Albania, prima che nelle sue città, va scoperta nei suoi paesaggi naturali.
Per un'intera settimana ho chiesto al compagno di mia sorella cosa pensasse dell'Albania, visto che è stato il suo primo viaggio. Non mi ha mai risposto. Lo posso capire. Lo posso capire perchè io stesso, che ci sono nato, non ho un'idea ben chiara. Sono combattuto tra il caos delle città ed il sorriso e l'animo buono delle persone, tra gli splendidi paesaggi naturali e i bruttissimi palazzoni costruiti sino in riva al mare.
L'Albania va scoperta. E per scoprirla posso assicurare che non occorrono nemmeno tanti soldi.
Forse una mezza risposta il compagno di mia sorella me l'ha fornita. L'ultimo giorno di permanenza in Albania, siamo andati al cimitero a trovare i miei due nonni. Il cimitero è un caos. Colline intere di lapidi. C'è un viale principale che separa musulmani e cristiani. Dopo aver impiegato quaranta minuti per trovare la tomba del nonno il compagno di mia sorella dice: "praticamente in questo paese nasci e muori nel disordine" visto che non avevamo alcun criterio e modo di cercare la tomba rapidamente, ma solo passandole in rassegna tutte.
Forse è vero, una delle parole che viene in mente visitando l'Albania è "disordine". La mia convinzione è che dopo decenni di massimo ordine, massimo inquadramento e controllo da parte della dittatura, tutti uguali, tutte le case uguali, persino tutti i mobili nelle case erano uguali, tutto dello stato e nulla privato... le persone in questo stato non vogliano sentire parlare di ordine almeno per qualche anno ancora. 
In quel caos di lapidi però, Il Lago dei Cigni di Tchaikovsky, suonato a massimo volume dal mio cellulare appoggiato sulla lapide del nonno, deve aver riportato un pò di pace e di ordine.
Chissà quante volte il nonno, da dietro le quinte del suo teatro, deve aver visto e sentito il Lago dei cigni. E chissà quanti aneddoti avrebbe potuto raccontarmi di quegli anni. Mentre mia sorella e mia mamma si commuovevano guardando la foto del nonno, io sorridevo, perché ero felice di esser lì e di aver fatto riascoltare questa grande opera al nonno e non riuscivo ad esser triste, ma solo felice.




Giorgio Castriota Scanderbeg


mercoledì 18 settembre 2013

La vita è come una busta di biscotti...

È da un po' che non ci sentiamo...
Recentemente mi è capitato di vedere una foto, della quale non vi rivelerò i soggetti, che ha attirato fortemente la mia attenzione: è una foto semplice, ma allo stesso tempo bellissima, talmente bella che ogni volta che mi sono trovato a passarci vicino le ho dedicato almeno un paio di occhiate e qualche secondo di riflessione. Questa foto di cui vi parlo raffigura un abbraccio fra due persone che, ovviamente, si amano molto, e l'espressione di uno dei due visi ha fatto sì che la mia mente iniziasse a riflettere sul grande significato che un gesto dalla disarmante semplicità presenta: l'abbraccio. 
Una parte di questa riflessione,  se volete, si nasconde anche dietro l'ardua scelta che ogni persona si trova a dover compiere una volta che, "inaspettatamente" ;) , si trova nel reparto biscotti. 
Non  so voi, ma io tra i biscotti da colazione del Mulino Bianco ho sempre avuto un debole per loro, gli Abbracci. Vedete, comprare gli Abbracci non è come acquistare le Gocciole della Divella al posto di quelle Pavesi: non si possono comprare dei semplici frollini panna e cacao, e vi spiego perché.
Il nome dei biscotti è di per sé una poesia, e guardatelo sotto questa luce. Gli Abbracci sono biscotti, quindi hanno zucchero, pertanto gli Abbracci sono dolci, e mai nome fu più azzeccato. E voi direte "bravo, bella scoperta!"...
Ora la meraviglia. 
Gli Abbracci, se avessero un altro nome, sarebbero semplici frollini da latte; proprio il loro nome, invece, me li fa apprezzare come splendida metafora da forno della fratellanza umana, rappresentano una manifestazione di affetto fra diversi, uno stringersi amorevole fra due persone con un diverso colore della pelle, un consolarsi fraterno fra due compagni con un diverso stato d'animo, un simbolo di compartecipazione ad uno stesso destino, un vincolo indissolubile, l'incontro di due gusti così diversi ma così buoni insieme, tanto che ti verrebbe da chiederti (ma tanto già lo sai) di cosa saprebbero da separati. Avrebbero semplicemente il sapore di una Macina e di un biscotto al cacao...
Ma non osi separare uomo ciò che mulino unisce!!! 
Ecco, vedete, io non mi sono mai sognato di spezzare un Abbraccio, mi sentirei come un venditore di fiori ambulante che disturba in un momento di affetto, come lo squillo di un cellulare durante una dichiarazione d'amore. Non si interrompe una energia del genere. 
Un abbraccio è un gesto molto diverso da un bacio, e per certi versi molto più potente. Esso simboleggia il completo abbandono l'un l'altro degli "abbraccianti", una reciproca accoglienza nel proprio spazio vitale. Non si abbraccia mai chi non si conosce,  mentre magari si bacia sulla guancia una persona che ci viene presentata.  
Il perché è presto detto: nell'abbraccio sono nascosti contemporaneamente il desiderio di possesso e quello di abbandono, il desiderio di amare e quello di essere amati, la forza della vicinanza e la paura della lontananza. È l'ossimoro dei sentimenti, è bello e brutto insieme, si abbraccia chi non si vede da tanto e si sente di nuovo vicino,  e si abbraccia chi sta per lasciarci. Si abbraccia chi si ama da morire e si vorrebbe per sempre vicino, e si abbraccia chi abbiamo paura ci lasci...
Vedete, in realtà per me quella foto nasconde tutto questo, e in un certo senso, nella mia voglia di vedere del romantico su tutto, anche in un semplice biscotto che abbiamo ogni giorno sotto il naso si nasconde tutto ciò...
La vita è come una busta di Abbracci: la apri e al primo ti brillano gli occhi perché sono belli proprio come quel gesto do cui portano il nome; poi vedi quelli che hanno avuto la sfortuna di rompersi e ti rattristi, ma continui a cercare gli interi, e quando li trovi sei felice. E anche se sono tutti rotti, sai che nella busta per ogni metà bianca c'è una metà nera...
Io domattina faccio colazione con latte e Abbracci, e i poveri che hanno avuto la sfortuna di rompersi cerco di ricomporli, perché non si può rompere un abbraccio. 

Parola di Banderas ;).




lunedì 12 agosto 2013

Sogno di una notte di 3/4 d'estate

Non tutti sanno che proprio oggi è la notte in cui è maggiormente probabile vedere delle stelle cadenti in cielo, e non la notte di San Lorenzo, anche se tradizione vuole che il naso all'insù sia prerogativa del dieci agosto. "Io lo so perché tanto di stelle per l'aria tranquilla arde e cade", forse perché nel mondo c'è un gran bisogno di desideri...
Noi, la società degli eterni insoddisfatti, di chi ha 100 e vorrebbe 1000, di chi ha 0 e deve sopravvivere, deve andare avanti anche magari attaccandosi ad uno stupido corpo celeste che solca il cielo incendiato. Eppure, forse, il bisogno di desideri non è solo una nostra necessità, forse c'è sempre stata la voglia di far influenzare la propria vita da agenti esterni! Ed è per quello che alziamo gli occhi al cielo, che li chiudiamo soffiando sulle candeline o mentre qualcuno ci allaccia un braccialetto della fortuna, che speriamo ci capiti la parte buona dell'osso del pollo o che la ciglia rimanga attaccata... 
Avere desideri è qualcosa da insegnare ai propri figli, che ormai non guardano più al cielo, allo stesso modo come bisogna insegnare loro che ognuno è artefice del proprio destino: perché la vita la dobbiamo decidere noi, ma ogni tanto qualche piccola soddisfazione è lecita sperarla. I desideri sono richieste fatte a cuor leggero, o talvolta a cuore troppo pesante da poter pensare che la realtà è quella che veramente viviamo, e che probabilmente nessuno può cambiare. 
Eppure...
Eppure è così bello pensare che ad occhi chiusi, per un tempo pari a quello con cui la meteora ci passa avanti agli occhi,  o pari a quello della fiamma di spegnersi, per un attimo ci solleviamo da terra e andiamo a pescare una speranza in cielo o nel profondo del cuore, lì dove nessuno può rubarla; la tiriamo fuori perché magari qualcuno ha voglia di realizzarla, o tutto il mirabile meccanismo del fato si mette in moto per aiutarci a realizzarla. 
Eh già... 
Molto spesso il desiderio è solo un modo di darci la spinta, quella spinta che a volte ci manda avanti e a volte ci trattiene dalle cose peggiori; perché è sempre una spinta sia quella che ci fa immergere nelle meraviglie degli abissi sia quella che ci tiene a galla per non affogare, e ogni anno potremmo avere bisogno di una o dell'altra. Ecco perché i desideri sono belli, sono un po' come fede in alcuni casi: uno spostamento della propria forza interiore verso l'esterno, la modellazione di qualcosa che ci dà la spinta per affrontare la vita. Non è paragonabile all'avere un semplice portafortuna, alla semplicissima ritualità di una superstizioni il desiderio non è nascosto nel gobbo sopra il corno rosso, o nelle code di svariati animali attaccate qua e là. 
Il desiderio è nobile, è puro e semplice, ha la candidezza e la bellezza del viso di chi chiude gli occhi per esprimerlo, serrando le labbra in un sorriso accennato che sembra dire che "forse non si realizzerà", oppure "che bello se si realizzasse", o " sarebbe un vero miracolo"... 
Io di braccialetti portafortuna brasiliani ne ho molti e ne avevo molti, e ho perso il conto dei desideri; ho tanto nella vita, forse 100 e vorrei 1000 sbagliando, però quel 1000 che vorrei per me significherebbe dare 100 ad ogni persona, perché se hai la felicità di chi ti è vicino e ti vuole bene non puoi desiderare altro. 
Ho 25 anni, quasi 26.
E gli occhi li chiudo ancora. 
Desidero...






lunedì 5 agosto 2013

Un chiletto di felicità

Questo post è nato già qualche tempo fa, ma altri impegni di scrittura ( e alcuni lettori sanno di cosa parlo ) mi hanno tenuto lontano dallo scriverlo. Oggi, visto che un po’ di tempo ce l’ho, ho deciso di mettere nero su bianco quello che ormai mi gira in testa da più di una settimana.
Tutti noi, chi più chi meno, abbiamo vissuto una parte dei nineties, ossia i favolosi anni ’90. Certo, tutti i decenni sono favolosi: e i favolosi anni ’60 perché c’era la Pavone, e i favolosi ’70 perché c’era il rock, e i favolosi anni ’80 perché si andava a ballare con la camicia con le punte e i pantaloni cipria come John Travolta ( ah, magari fossi nato quel periodo )… e io dico i favolosi anni ’90, anche se devo dire che anche il 2000 non è stato male.
Ecco, in quegli anni noi giovincelli del 1987, come si dice, abbiamo fatto lo sviluppo. Era il periodo in cui si iniziavano a guardare le ragazze, e soprattutto il periodo in cui si guardavano le bellissime attrici e modelle della tv, belle, precise e…magre!
Si dico magre, ma nell’accezione negativa. Era un po’ il periodo in cui si iniziava anche a sentire fortemente parlare dei problemi alimentari, tutto pur di assomigliare a quella modella lì o quella attrice lì. Non sono esperto del settore, non ho mai avuto problemi di quel tipo (no, proprio no!) e non voglio scrivere uno di quei post critici, ma voglio fare una riflessione.
Gli anni ’90 erano anche gli anni dei paparazzi, della privacy a tutti i costi, ed era nella solitudine di una stanza che questi problemi crescevano. Gli amici si vedevano sotto casa, al mare, ma il più delle volte i pasti erano in casa; guai a tirare fuori foto della discoteca, guai a far vedere ai genitori atteggiamenti lontani dalla castità domestica, GUAI!!!!
Bene. I favolosi anni ’90 se ne sono andati ormai da un bel po’. La privacy, probabilmente, con loro.
Finito il periodo dei rullini, delle telecamere con videoregistratore a spalla, finito il silenzio. Smartphone, fotocamere, divertimento, e soprattutto il binomio che io penso sia caratteristico di questa gioventù: social e happy hour.
La mia riflessione nasce dall’osservazione di quelle che definisco “trippette da happy hour”, ossia le pancette che ragazzi e ragazze mostrano al mare (ovviamente non mi riferisco a prominenti epe!), senza aver vergogna di nulla. Vedete, la pancetta è sinonimo di chi prende la vita con leggerezza, di chi sa divertirsi, di chi vive social. Al giorno d’oggi la parola d’ordine è share, ossia condividere. Si esce con gli amici, aperitivo, foto, Instagram, Facebook, Twitter, Google plus e chi più ne ha più ne metta…. L’aspetto più bello del social è che, ormai, si è portati a vivere in branco, fuori da quella prigione che era la camera da letto degli anni ’90, lontano dal riflesso di quello specchio che ogni giorno rifletteva una immagine più bella, ma più brutta; come direbbe un coautore del blog:” se non sei social sei fuori!”, ed è verissimo. Ormai avere Facebook o simili è obbligatorio, e le persone che non pubblicano si pensa siano rinchiuse in qualche eremo su Morrone a flagellarsi con del cilicio, invece che ad ubriacarsi con del Mojito.
Abbiamo trovato la nostra dimensione in uno spazio che di dimensioni non ne ha, e al contempo ne ha infinite: il web. La popolarità che una volta si misurava con il vociferare nei corridoi ora si misura in menzioni su Twitter, in numero di amici su Facebook, in +1. E, in fondo, è bello così.
Le persone non vogliono, e non possono far vedere di essere sole e tristi, non va bene. E così si esce, si cena fuori, si prende lo spritz con rustici che poco importa siano di tre o quattro giorni prima, perché al massimo ci sentiamo male tutti insieme. Si esce a prendere una birra, si va a mangiare a quella sagra piuttosto che a quell’altra, si ride, si scherza, e si mette la pancetta. E, cosa ancora più bella, la fatidica frase “prova costume” ormai non la dicono seriamente nemmeno più i giornali!!!
Io, dico la sincera verità, adoro la trippetta da happy hour, perché alla fine qualifica una persona.
Il palestrato, ad esempio, è quello che spende tutto in prodotti per il proprio corpo, sta 8,9 ore in palestra, e al compleanno ti regala un cronometro, così puoi prendergli i tempi delle prestazioni.
Il ragazzo con la pancetta, o la ragazza con la pancetta, è quella che non si nega l’uscita con gli amici, che si diverte, che se la inviti a cena non fa la tignosa… insomma è social!
Alla fine le nonne avevano ragione a dire di prendere quelle con i fianchi larghi, ma più che per il parto per tutto quello che viene prima ;) .
E poi,  in fondo in fondo, ci interessa qualcosa di quei chiletti di più? Alla fine lo specchio ci serve davvero?
A me sì, per vedere se sono sporco di gelato!
Cheers

venerdì 19 luglio 2013

Che forma ha la vita?

Oggi, mentre ero in macchina, ho avuto la fortuna di ascoltare alla radio l'intervento del nostro caro astronauta Luca Parmitano in diretta dallo spazio, che al Presidente del Consiglio sottolineava la bellezza dell'Italia vista dall'alto, con la sua inconfondibile forma "a stivale" (che tante volte, però, sembra usare sul nostro didietro) e la sua stupenda unità, alla faccia di tanti secessionisti governanti e di tante persone che gridano al distacco nord-sud.
Ma il post non vuole avventurarsi su dissertazioni di natura politica, bensì su una cosa che mi ha fatto riflettere: la capacità dell'uomo di rintracciare le forme in natura.
La penisola italiana, infatti, è identificata come lo stivale, un po' come Eritrea, Etiopia, ecc... sono identificate come corno di quello strano essere che è l'Africa, e così via.
L'uomo ha da sempre rintracciato negli splendidi disegni della natura qualcosa che fosse vicino al razionale, chiudendo all'interno di contorni certi qualcosa che in realtà è soltanto il risultato di processi fisico-chimici.
Pensate, per esempio, alla bellezza delle costellazioni, composte da stelle lontanissime, probabilmente già mutate in forma oppure morte, ma che nel cielo disegnano da secoli forme stupende che prendono il nome di animali, di oggetti, di personaggi mitologici, di segni zodiacali. L'uomo ha da sempre cercato di formare la natura a sua immagine e somiglianza, e quando non ci è riuscito per una certa impossibilità ha cercato di rintracciare in essa forme che fossero famigliari, per poter riprodurre magari un concetto con un simbolo, o per potersi meglio muovere nel mondo, oppure semplicemente perché in un momento di follia si è abbandonato alla favolosa macchina della fantasia.

E' così che, in un momento di amore, le nuvole diventano cuori, in un momento di riflessione le montagne assumono i contorni di belle addormentate o di scimmie, in un momento di rabbia tutto ci ricorda la persona che in quel momento odiamo di più...
Cercare di identificare una sorta di razionalità in natura significa da una parte lasciarsi avvolgere dall'idea che forse c'è qualcuno che si diverte a stuzzicarci con degli splendidi disegni, un po' come quando noi con pochi tratti su un foglio cerchiamo di far indovinare una parola al nostro compagno di squadra di Pictionary; dall'altra invece, scopre il desiderio dell'Uomo di poter controllare qualsiasi cosa, di poter associare ad ogni oggetto in natura un proprio aggettivo, di poter decifrare senza difficoltà quel magnifico mondo che gli si pone davanti agli occhi, cercando di conoscere i caratteri nei quali il mondo è scritto in forma "di triangoli, cerchi ed altre figure geometriche.
Ma perché cercare per forza di dare una spiegazione a qualcosa davanti alla quale dovremmo solo e semplicemente restare senza parole? Perché ridurre delle trasformazioni millenarie di idrogeno, oppure dei cumuli di vapori, a carretti sgangherati o animaletti da vecchia fattoria?? In effetti è davvero molto divertente rintracciare delle forme nelle cose, presuppone una certa elasticità mentale e un cervello sempre in moto, sempre pronto a captare delle sensazioni dall'esterno, sempre nell'atto di studiare, capire, cercare, conoscere, indagare, trovare, formare, delineare, calcolare, scrivere, guardare, elaborare, pensare, disegnare, dedurre, manipolare, descrivere...
Basta, una nuvola è solo una nuvola. Guardala. E respira.


giovedì 18 luglio 2013

Vediamo chi arriva prima

Coloro che vivono o hanno vissuto in Lussemburgo, per descrivere il clima della loro nazione, sono soliti affermare: "in Lussemburgo piove due mesi l'anno, il resto del tempo è brutto tempo". Ecco, Modena non sarà il Lussemburgo ma non si può nemmeno dire che abbia un buon clima. L'inverno è molto freddo e la sensazione di freddo è incrementata dalla notevole umidità. Piove spesso e la neve non è rara. L'estate è calda, umida ed afosa e per di più non tira mai un filo d'aria. Primavera ed Autunno durano rispettivamente qualche giorno e più che altro sono percepite dall'osservazione dei colori della flora locale. Quest'anno, quando le temperature lo hanno permesso, sono quasi sempre uscito a correre. La corsa è una delle poche cose che mi consentono di rilassarmi e liberare totalmente la mente, oltre a dare quel tipo di stanchezza fisica che ti fa star meglio. Spesso, in mezzo a minuti privi di pensieri, nascono idee, progetti e soluzioni oppure riaffiorano ricordi, come le corsette, d'inverno ed in pantaloncini corti, a L'Aquila, sotto zero, quando il solito amico, puntuale e preciso, non come il treno sul quale sto viaggiando, ti citofona e dice di scendere. Poi via di corsa in Via XX Settembre, sino ad arrivare alla Basilica di Collemaggio, correndo in fila indiana perché il marciapiede è troppo stretto, qualche giro attorno al Parco del Sole e ritorno, che culminava col lancio della sfida e conseguente scatto per vedere chi arrivava prima. Comunque, quella di correre,  più che una volontà, col passare degli anni è diventata una necessità. L'ora è sempre la stessa, 19:30/20:00. Ultimamente, mentre faccio stretching o subito dopo aver iniziato a correre incrocio, lungo il bellissimo Viale alberato dove vivo, un Signore. Questo Signore, ogni sera, alla stessa ora, tutti i giorni... porta fuori suo figlio, paralizzato. Tutte le volte che lo incrocio, questo Signore mi saluta e mi sorride. Posso affermare con certezza di non essere in grado di definire e descrivere il tono della sua voce e la morfologia del suo sorriso. So solo che ogni volta, quando mi saluta e mi sorride, sospiro e mi sento meglio. Quel signore spegne tutti i miei pensieri, accelera il mio battito e mi fa sentire bene e sereno, e mi fa sperare di incontrarlo il giorno dopo, alla stessa ora, lungo lo stesso viale alberato.

sabato 13 luglio 2013

Occhi in alto, sempre.

Il cielo di oggi è diverso da quello di ieri e fortunatamente domani ce ne sarà uno nuovo. A questo punto la domanda sorge spontanea, dove vanno a finire i cieli vecchi?

Nelle fotografie.