mercoledì 13 novembre 2013

Pietre...

Vedete, se c'è una cosa che non ho mai amato è il latino. 
Io penso, e chi ha avuto l'onere di parlare con me già lo sa, che la definizione di "lingua morta" è quanto di più calzante ci sia per la lingua dei nostri trisavoli.
Eppure...
Eppure c'è un detto, un piccolo proverbio latino che ho sempre adorato, fatto mio in più di una occasione, che se non erro (e qui largo a voi latinisti, perché "se sbaglio mi corigerete") suona così:" gutta cavat lapidem".
Il senso di questo proverbio è presto chiarito, per chi non mastica l'eneica lingua: la goccia scava la pietra. Il significato più profondo è quindi legato al rapporto che c'è fra l'insistenza e l'ottenimento di un risultato; ma questa volta io, spiritualista a volte da far invidia a Hegel, voglio guardare il senso più materialista del proverbio, e leggere in esso il significato recondito del passare del tempo sulla nuda roccia.
Pensate, ad esempio, se la goccia fosse un po' come la mano dei fedeli sui piedi della statua di san Pietro in Vaticano, che carezza dopo carezza hanno consumato il povero arto del santo. Ecco, carezza dopo carezza, sfioramento dopo sfioramento, appoggio dopo appoggio...
L'ispirazione di quanto scrivo proviene proprio da una riflessione di questo tipo: avete mai pensato a quanta storia si nasconda dietro un semplice angolo smussato?
Lo so, vi sembrerà stupido, eppure è qualcosa che ritroviamo nel quotidiano: nei piccoli paesi vicini alle nostre città, dove il padre del padre del padre è stato ed ha vissuto, capita spesso di sostare in punti di raduno e ritrovo che sono sempre quelli di generazione in generazione. Quel muretto, quell'angolo di muro rotto magari è il risultato della sfida di pallone fra i nostri genitori, oppure quella colonna che sostiene il nostro braccio in momenti di noioso abbandono, con quel suo stilobate consumato, in realtà vede ancora vicino a sé la sagoma di nostra madre giovane!
Voi penserete che questa riflessione sia priva di senso, ma aspettate.
Nei posti che sono un po' simbolo della nostra vita, che sono visitiamo negli anni, sentiamo in un certo senso di essere al contempo unici proprietari e passanti; pensiamo, infatti, che quel posto ci appartenga quasi fosse nostro, ma fermarci a pensare un attimo non può che aiutarci.
Fermiamoci, e riflettiamo. Apriamo il cuore a quella sorta di aura che contorna alcuni posti che frequentiamo, respiriamo pensando per un istante a ciò che è stato lì prima di noi, quasi come se l'erba, la roccia, il cielo portassero con loro un po' di ognuno di noi, quasi come se lo sfiorare la pietra fosse un imprimere in essa una traccia del nostro passaggio. Perché, perché ogni volta che visitiamo il Colosseo ci sentiamo come Massimo decimo Meridio, mentre quando appoggiamo il piede nel punto del muretto che una volta ospitava l'impronta di nostro nonno non siamo ugualmente fieri? Perché compriamo abiti finti vintage che hanno addosso, quando lo hanno, il ricordo di qualcun altro mentre l'orologio vecchio di nostro padre ci sembra l'antenato mal riuscito degli smartwatch?
Vedete, io domenica ho appoggiato il mio gomito ad una colonna, e davanti a me ho visto delle pubblicazioni matrimoniali; ho pensato a quanti amanti hanno sospirato nel profondo del cuore mentre vedevano la propria amata sposare un altro, o quanti genitori hanno pianto appoggiati a quella stessa colonna mentre i loro figli si sposavano, o quanti figli hanno lasciato le lacrime sgorgare dai propri occhi e bagnare quei pochi pezzi di pietra, mentre l'incenso profumava il sangue del loro sangue...
C'era qualcosa in quel semplice conglomerato che in una frazione di secondo mi ha fatto girare di generazione in generazione, mi ha chiamato alla riflessione, mi ha fatto commuovere pensando che forse, in quello stesso punto, c'era mia madre da giovane, c'era mio padre appoggiato in attesa di poter uscire, c'era qualcuno che magari da quel punto in poi ha cambiato la propria vita, o chi da quel punto ha salutato quella degli altri...
In fondo lo so, è solo una pietra e come tale si consuma. Ma mi piace pensare che siamo noi che ne portiamo via un pezzo in cambio di una parte di noi. 

Da cedere a voi.



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