sabato 2 giugno 2018

So you can keep me...


Viviamo il mondo dell’immagine.

Viviamo il mondo del social, della condivisione, della foto artistica e di quella pop, del post impegnato e dei micetti che giocano…

Viviamo di parole, che spesso si accompagnano ad immagini…

Immagini…

Alla fine il mondo di oggi, il terzo millennio, o se vogliamo possiamo anche definirlo il terzo millennio avanzato, è tutto racchiuso in un semplice concetto, paradossalmente talmente antico da risultare basilare: la fotografia.

Cosa siamo, cosa saremmo senza una fotografia?
E, soprattutto, che valore ha oggi la fotografia?

Che valore ha una foto quando non sentiamo più scattare il blocchetto di pellicole polaroid, quando non giriamo più la rotella delle nostre Kodak usa e getta, quando non apriamo più lo sportellino al buio per tirare fuori il rullino, quando il nostro fotografo non ci chiama per dirci “sono pronte, può venire a ritirarle”?

Che valore hanno quando giri tra gli scaffali, e accanto a centinaia di digital camera trovi lì, impolverati e alquanto vetusti, degli album di foto da riempire?  Oppure quando ripensi a quelli in plastica sponsorizzati dal nostro fotografo, che contenevano le foto delle gite fatte con la scuola?

Le fotografie…

Abbiamo fatto questi ricordi per noi stessi
Dove i nostri occhi non si chiudevano mai
I nostri cuori non si sono mai stati spezzati
E il tempo era perennemente congelato, ancora

Sapete come si fa a capire il valore che ha una fotografia al giorno d’oggi? Strappatela.
Davvero, strappatela.
Poi guardatela strappata sul tavolo, e pensate subito a una cosa: scotch o stampante?
Il dilemma vero: scotch o stampante?
Forse al giorno d’oggi è veramente più facile strappare una fotografia, forse tempo fa prima di strapparla doveva succedere qualcosa… e magari lo scotch era lì pronto all’uso, e magari lo strappo era fatto anche in modo preciso perché tanto, bene o male, quella foto l’avreste salvata, e prima di finire nel cestino ne sarebbe passato di tempo…

Così puoi tenermi
All'interno della tasca dei jeans strappati

Oggi la distanza fra lo strappo e il cestino è ridotta, quasi nulla…

Amare può far male, amando può ferirti a volte
Ma è l'unica cosa che so

Ma in fondo, a chi fa male tenere una fotografia? La fotografia vera è quella che non si cancella, che non sbiadisce al Sole… e il gesto dello strappo in fondo è solo l’ultimo, l’unico modo per cercare di rimuovere qualcosa che, in fin dei conti, rimane comunque incancellabile…

Riflettiamo sul valore della fotografia, nel mondo di oggi che ne è pieno…
Scorriamole sul nostro smartphone e fermiamoci a pensare…

Contrasto
Bilanciamento
Toni
Colori
Ombre
Luci

Stiamo realmente parlando solo di fotografia?




mercoledì 14 marzo 2018

Tre semplici parole


JUST DO IT.

Questo slogan pubblicitario, lanciato per la prima volta nel 1988, e traducibile in italiano in "Fallo e basta", è uno dei più famosi e riconoscibili di sempre. Con queste semplici tre parole la Nike trasmise un'immagine di impegno, determinazione e l'ideale americano del "lavorare duramente".

Lo slogan venne mostrato per la prima volta in un video pubblicitario dove si vede un uomo di ottant’anni a petto nudo, Walt Stack, mentre corre all'alba sul Golden Gate di San Francisco.
La telecamera inquadra il suo volto mentre dice: "Corro per diciassette miglia al giorno, ogni mattina. La gente mi chiede come faccio a non battere i denti, d’inverno. Li lascio nell’armadietto".



Qualche giorno fa, dopo l'assegnazione degli Oscar, la prima cosa cercata su Google al risveglio è stata "risultati Oscar 2018" e, scorrendo i nomi dei vincitori, ho visto che Kobe Bryant aveva vinto nella categoria Miglior cortometraggio animato.
Kobe Bryant. Kobe Bryant? Kobe Bryant???
Ecco, coloro che non sanno chi sia quest'uomo, sempre se di semplice uomo si tratta, possono andare a leggere l'elenco dei suoi premi, riconoscimenti, record e, dopo un paio d'ore di lettura, tornare su questa pagina.
Kobe Bryant è una delle tre meraviglie dell'era moderna. Le altre due sono il cioccolato e Michelle Pfeiffer.
Dear Basketball, il cortometraggio col quale ha vinto, è basato sulla lettera scritta da Kobe qualche mese prima di ritirarsI dalla sua carriera NBA.

Personalmente non sono rimasto sorpreso. Kobe, uno dei giocatori di pallacanestro migliori di tutti i tempi che, cessata la carriera cestistica, fonda una casa di produzione cinematografica e, appena un anno dopo il ritiro, vince un Oscar. Sono cresciuto, negli anni dell'adolescenza, con il mito di Bryant, mi sono affacciato al mondo NBA nei primi anni 2000 in cui egli dominava assieme a Shaquille O'Neil e di lui ho sempre ammirato, e invidiato, la sua determinazione, volontà, grinta, competitività e spirito di sacrificio.

Come si lega il JUST DO IT con Kobe? Egli è stato, e lo è tuttora, uno dei maggiori testimonial della Nike nel mondo.
Dopo Michael Jordan, per la Nike, c'è stato Kobe (e poi Federer, Tiger Woods, Lebron James, ecc…).

Kobe l'ha fatto e basta. Si è ritirato dal basket e si è buttato in un campo totalmente nuovo e sconosciuto per lui e l'ha fatto al meglio, tanto da ricevere un Oscar. Kobe l'ha fatto e basta. Sono certo che possa aprire, con la sua determinazione, un ristorante e vincere una stella Michelin.

Just do it. Tre parole, un concetto semplice, fondamentale ed eterno. Quanti di noi possono dire di avere un atteggiamento di questo tipo, ovvero di agire, di farlo e basta? Certo, non in ogni frangente della nostra vita, ma almeno in quei momenti che contano.
Magari siamo pieni di idee, di progetti, di sogni. In pochi casi iniziamo a mettere insieme i pezzi per poterli raggiungere e costruire. Certe volte non iniziamo nemmeno perché viviamo nel passato, e siamo pieni di pregiudizi, altre volte perché temiamo il futuro e quindi siamo timorosi e ansiosi per il risultato. In conclusione, non facciamo nulla. Poche volte invece può capitare di essere ispirati dal quel famoso detto latino "Emo fatto 30, famo 31" e di portare a termine le attività iniziate.

Da qualche mese seguo un progetto, TAKE ME BACK, fondato da due ragazzi abruzzesi, Antonio e Andrea.
La loro idea è semplice, quanto quella del Just do it di Nike. Si definiscono Corrieri Solidali e hanno, fondamentalmente, ideato un nuovo modo di fare beneficenza. Take Me Back unisce il viaggio alla solidarietà attraverso una rete mondiale di corrieri solidali. https://takemeback.eu/en/

I due ragazzi in questione, un po' come Kobe ha fatto dopo la carriera cestistica, si sono buttati in un'avventura totalmente diversa dal loro contesto lavorativo e passato. Hanno avuto questa idea e, ormai da qualche anno, stanno lavorando duramente per fa si che questo progetto coinvolga, con la sua semplicità e gioia, sempre più persone.
Sinceramente, passata l'adolescenza, sono queste le persone che mi ispirano e mi affascinano.
Hanno avuto un'idea e si sono mossi per realizzarla. Con lo zaino in spalla hanno girato il mondo (nel loro sito i dettagli dei viaggi, delle località e dei progetti in atto) portando il sorriso a centinaia di bambini.
Il tutto è stato raccolto in un film documentario, interamente autoprodotto. Il minuto di trailer mi ha fatto venire la pelle d'oca.



Il titolo del documentario è Serendip, da "serendipità", parola che indica la fortuna di fare felici scoperte per puro caso e di trovare una cosa non cercata e imprevista mentre se ne stava cercando un'altra. Si potrebbe dire che la serendipità sia quella cosa che, mentre stai cercando l'ago nel pagliaio, ti permette di trovare la figlia del contadino.

Questi due ragazzi hanno realizzato la loro idea. L'hanno fatto e basta. Senza scuse, paure e pregiudizi. E per questo sono da ammirare tanto quanto Kobe.

Hanno fatto loro quelle semplici tre parole.

Just do it.
Tre semplici parole.
Take me back.

domenica 7 maggio 2017

Love at first sight (?)

Le grandissime personalità della letteratura internazionale sono davvero moltissime, e noi italiani ne sappiamo qualcosa.
Ma se c’è un artista che invidio al panorama internazionale, beh questi è sicuramente Oscar Wilde.
Un raro pozzo di intelligenza, davvero un aforisma su due che appartengono alla nostra quotidianità probabilmente lo dobbiamo a lui. Ed oggi prendo il via proprio da un suo aforisma che tutti conosciamo.

“Non c’è mai una seconda occasione per fare una buona impressione la prima volta”

E’ proprio vero che non abbiamo una seconda chance per fare colpo, o per lo meno per “farci ricordare”? Quanto sono imbarazzanti le situazioni in cui noi riconosciamo la persona che abbiamo di fronte, ma lei si presenta per la seconda o terza volta?
Lo ammetto, io sono stato “vittima” di queste situazioni, ma ho imparato che a volte possono essere molto positive, perchè in fin dei conti la prima volta che incontriamo una persona potremmo non essere del mood adattato a sfoderare tutte le nostre armi di seduzione ;) .
Di me, ad esempio (e qui vi chiedo di commentare, almeno per chi mi conosce di persona, se ciò che scrivo è vero), la prima impressione è sempre negativa, o quasi.

Sì, risulto antipatico.

E allora? E allora ho imparato che la vita, a volte, ci mette di fronte a queste situazioni di imbarazzo, di conoscenza a senso unico solo per farci riprendere, per fare in modo di negare l’aforisma del caro vecchio Oscar e dire “Sì, c’è una seconda volta, perchè in fondo la prima volta non c’è stata nessuna impressione”, che può suonare come una sorta di “si può sempre recuperare”.
Dai, siamo sinceri, anche la persona più simpatica del mondo può ciccare la prima, quindi perchè non sfruttare la seconda o terza volta, la nuova stretta di mano, l’ennesimo “piacere, ecc…” per costruire quello che poi sarà il nostro timbro di identificazione, per stabilire se avviene o meno l’imprinting? In fondo è come avere in mano il meraviglioso “cancella memoria” di Men In Black…


Poi beh, se siete persone antipatiche o spiacevoli tali rimarrete, ma sono sicuro che chi segue questo blog non appartenga a queste categorie ;D. 




martedì 25 aprile 2017

Da grande sarò...

Il post di oggi scaturisce da una considerazione fatta lì, nelle vaste lande spettrali direzione Moncenisio, lande che non hanno nulla da invidiare a quelle cinematografiche di stampo tolkienistico.

Le donne nascono con il sogno di essere principesse, gli uomini sognano di diventare calciatori o piloti, o in generale non sognano la nobiltà.

E’ un dato di fatto: la donna ha intrinsecamente voglia di nobiltà. Sappiamo tutti, però, che sposare un principe è assai raro, salvo se non hai una famiglia che ti istruisce fin da piccola per quello (lessons in love made in UK).

Tutto questo a cosa ci porta, vi chiederete voi. Semplice, non esiste, e non esisterà mai una relazione completamente disinteressata e feeling-ness (scusate il neologismo, ma mi piace molto) da parte dell’universo femminile, e di questa superiorità sentimentale prima ne prendiamo atto e meglio è.
Ma soprattutto, prima ne prendiamo atto e prima impariamo a trattare meglio il 50% della popolazione mondiale. 
I “friends with benefits” non esistono, o perlomeno non esistono su entrambi i fronti. E questo conferma ancora una volta la superiorità femminile da questo punto di vista; noi uomini nasciamo soldati, calciatori, piloti, scienziati, medici, dentisti, economisti, ingegneri, giocatori di basket, pallavolo, curling, bocce, freccette e, proprio in fondo alla lista, principi. Perchè, diciamola tutta, a noi la vita di corte fa schifo, non ci piace il the delle cinque, preferiamo pane e porchetta ai biscottini e le mani morte discotecare ai balli pomposi. Non sappiamo l’organza cosa sia, la seta non ci piace, e a malapena distinguiamo i colori dell’arcobaleno. 

Le donne.

Le donne invece adorano essere principesse, è il loro sogno, e crescono con delle favole che aiuta loro a sognare questa condizione. Poco importa se sette nani incutono terrore, se topolini trainano carrozze o sorellastre minacciano, se si vive in apnea in fondo al mare o se bisogna custodire una rosa sotto una campana di vetro con un uomo che glabbro proprio non è.

Non confondetevi, il mio non  è un post femminista, ma un mero dato di fatto: non esiste una donna slegata dai sentimenti. Tenetelo bene a mente quando vorrete fare i “friends with benefits”, perchè le donne conoscono tutte le sfumature di quello che per noi è un semplice rosso, al più classificabile come rosso Ferrari, e conoscono sicuramente meglio di noi tutte le sfumature dell’amore.

Uomini, magari domani andiamo a lavoro con un pensiero in più.


E su un cavallo bianco.



domenica 9 aprile 2017

Questione di sintesi

Noi siamo avanti.

Noi siamo troppo avanti.

Noi andiamo alla velocità della luce, pensiamo una frazione di secondo e agiamo.

Noi siamo quelli che in 160 caratteri riassumono una notizia, la generazione della sintesi, quella che utilizza più x o più k, quella che ha trovato nuovi modi di comunicare che, in confronto, l'esperanto è risultato un tentativo più che vano.

Siamo noi, noi che in due punti e una parentesi esprimiamo gioia o tristezza, che mandiamo baci asteriscati e lacrime apostrofate, che facciamo battere un minore ed un 3, che strizziamo l'occhio al punto e virgola.

Siamo noi, siamo l'epoca del "ciaone" e del "fit", del "dress" e del "fan", filosofi del "like" che aprono conversazioni intere come aprono canceletti, con più pollici alti dell'antica Roma e più autoritratti dall'epoca dei mecenati.

Siamo la sintesi perfetta, sappiamo riassumere tutto, sappiamo esprimere tutto.

Ma allora perchè, perchè Mamihlapinatapai?

Perchè una parola così incomprensibile, alla quale in molti risponderebbero "Namastè, alè", mi ha fatto fermare in estasi?

Questa parola, della quale non ero a conoscenza fino a poco fa, ha un significato ben preciso:


"guardarsi reciprocamente negli occhi sperando che l'altra persona faccia qualcosa che entrambi desiderano ardentemente, ma che nessuno dei due vuole fare per primo".


Una parola, questa, appartenente al lessico degli indiani della Terra del Fuoco.

Capite, una popolazione priva di internet, del mobile, dello smart e del fast, che ha un termine per un qualcosa di così preciso e profondo.
Un momento che potrebbe durare un istante come una vita, un turbinio di sentimenti racchiuso in uno sguardo, l'imperfetta meraviglia dell'animo umano, lo spirito del desiderio e della timidezza, il fremito della speranza...

Ammetto la mia ignoranza, non riesco a spiegare il momento ben preciso.


La popolazione Yamana sì.



Noi siamo avanti (?).












martedì 6 dicembre 2016

AAA Cercasi Paola Disperatamente

Buon onomastico.

Potrebbe essere apatico, lontano, freddo come una tavola in marmo, glaciale come il peggiore degli igloo.

Eppure è un buon onomastico.

Ed ecco che una dedica su un libro di un mercatino, con un fiore come segnalibro, si trasforma nell’immaginaria storia d’amore di Andrea e Paola.

Andrea, friendzonato di quelli forti, approfitta dell’onomastico per un regalo.

Sapete, di quei regali che si fanno per entrare in qualche modo nella vita delle persone, perché in fondo quando hai un milione di idee per una dedica la più semplice è sempre la più indolore.

Buon onomastico.

E allora ecco che Andrea regala a Paola un libro del suo autore preferito, proprio quello che ha sentito le manca da leggere, ma cosa scrivere per far sì che il suo amico, nonché fidanzato di Papà, non sappia nulla della provenienza del regalo e del sentimento?

Buon onomastico.

Paola riceve, sorride, legge.
E forse non capisce cosa c’e dietro quelle sue semplici parole.
E legge su una panchina al parco, e usa un fiore come segnalibro mentre chiude quel libricino e bacia il suo ragazzo Roberto.

Fine di Montalbano. Fine del regalo.
Fine del libro che passa su una bancarella di un mercatino al 60% di sconto.
Un amore forse mai iniziato.
O una delusione troppo forte.
Nessuno saprà quale parte della storia è quella vera, nessuno potrà conoscere lo sliding doors.
Forse nemmeno il buon Montalbano.
Ora quel libro passa di mano.

Buon onomastico.


giovedì 23 giugno 2016

L'uomo nello specchio

Ci sono artisti che hanno segnato, o che continuano a segnare la nostra vita.

C’è chi è rimasto figlio dei fiori, che ha vissuto il ’68, gli anni della ribellione.

Che dal tentare improbabili strimpellamenti di inni nazionali rock version è passato alla disco music, per poi arrivare a vedere i propri figli o i propri nipoti avere in qualcosa di più piccolo di un accendino l’intera discografia di un artista.

Ecco, un artista che ha segnato la mia infanzia e che ancora oggi, dopo la sua scomparsa, continua a stupirmi, è il re del pop: Michael Jackson.

Tutti, ma proprio tutti, sappiamo dei vari record battuti da questo grande della musica, dei milioni di copie vendute con “Thriller”, degli assoli di chitarra famosi contenuti nei suoi brani.

Adoro, adoro davvero le sue canzoni più pop, sono sempre sempre attuali. Ma la mia preferita, stranamente, è “Man in the mirror”.
Vedete, se non la conoscete vi consiglio di ascoltarla: personalmente ogni volta che la sento mi prende un magone dentro, è davvero fantastica.
E fantastico è il testo, perché aiuta a riflettere: basta leggere solo il ritornello per capire il senso della canzone:

“I'm starting with the man in the mirror
I'm asking him to change his ways
No message could have been any clearer
If you wanna make the world a better place
Take a look at yourself, and then make the change”

Non c’è bisogno di traduzione. Il cambiamento parte da noi stessi, il mondo cambia se siamo noi che cambiamo per primi.
Lo specchio, il riflesso di quello che siamo, oltre che riflettere aiuta a riflettere. Non ho mai pensato fosse un caso, una coincidenza l’uso di questo verbo.

Riflettere.

Io non adoro stare davanti ad uno specchio, praticamente nemmeno per vedere se un vestito mi calza a pennello o meno.
Semplicemente, non mi piace. E forse so il perché…
Allo specchio sono costretto a riflettere, a guardarmi negli occhi, a capire cosa della mia giornata, della mia settimana non sia andato bene, cosa io abbia fatto per me e come mi sia comportato.
Non so se la sensazione che provate voi è la stessa, ma per me a volte è problematico guardarmi negli occhi.
Non reggo il mio sguardo.
Però, volente o nolente, la mattina appena sveglio devo lavarmi la faccia, e sono costretto a guardarmi allo specchio, fosse anche per soli 2 secondi. E in quei 2 secondi decido come dovrà essere la mia giornata, in cosa potrò dare il mio contributo, come potrò essere partecipe del cambiamento.

Vi invito a farlo, mettetevi davanti allo specchio e guardatevi negli occhi senza superficialità. Vedrete che nessuno di voi reggerà lo sguardo della propria anima, e che anche il più pio avrà qualcosa da recriminarsi.

Però con il giusto occhio riuscirete a dare una carica diversa alla vostra giornata, e vi sentirete fieri di voi stessi perché realizzerete ciò che pensate.
O almeno ci proverete.

Anzi, ci proveremo.


Iniziamo dall’uomo nello specchio.