lunedì 2 novembre 2015

Sacrifice

Clock.

Non è il rumore dell’orologio, ma semplicemente il piccolo tonfo della mia capsula Nespresso che cade nella macchinetta. What else?
Beh, a chi non è capitato di svegliarsi con una canzone in testa e di portarsela tutto il giorno con sé?

Dai, non negatelo…

Beh io questa mattina mi sono svegliato, e non chiedetemi perché, con in testa Elton John, ed in particolare una sua famosissima canzone: Sacrifice.

Per quelli che non conoscono questo piccolo capolavoro c’è la possibilità di ascoltarla in fondo al post, ma non scorrete subito, vi prego ;)

La canzone in sé è bellissima, ma non è di quelle che poi si continuano a cantare imperterriti e ininterrotti durante il corso delle ore; tuttavia il nome mi ha fatto riflettere molto sul concetto di sacrificio.
Il sacrificio è quanto di più nobile si possa nominare di tutti quei sentimenti e situazioni che vanno a braccetto con l’amore, ed in alcuni suoi tratti rappresenta una delle sue manifestazioni più grandi. È il contrario più forte dell’egoismo, è la rinuncia alla realizzazione propria nell’attimo, in favore della realizzazione altrui, è riservare per sé la matita e prestare l’evidenziatore a chi ci è accanto.
Quanto, quanto siamo disposti al sacrificio? Quanto possiamo trascurare noi stessi per portare gli altri su un livello anche solo poco più in alto del nostro?
È davvero difficile rispondere a domande come questa, è davvero davvero complicato riuscire ad esprimere senza luoghi comuni la propria propensione a mettersi da parte in favore di qualcuno che ce lo chiede, implicitamente o meno…
E l’amore…sì, il sentimento principe che tantissime volte si dimostra proprio con il sacrificio diventa di esso il sinonimo più forte, il deus ex machina che muove i fili trasparenti che spingono sulla scena un burattino, e ne indietreggiano un altro. Rinunciare, lasciare andare qualcosa solo per far sì che chi ci è accanto possa afferrare ciò che desidera, affidare il nostro desiderio a quello di chi ci circonda, mascherare ogni nostra volontà dietro una faccia che non è la nostra.
Quanto, quanto vale la pena farlo?

Quanto vale la pena mettersi da parte per qualcuno o qualcosa?
Quanto questa nostra scommessa può davvero pagare?
Quanto il nostro sacrificio è a perdere e quanto è a rendere?

Ma soprattutto dove finisce il sacrificio e inizia la strategia?
Dove il sacrificio si confonde troppo pesantemente con la rinuncia?

Può il sacrificio perdere la sua spontaneità ed essere l’unico modo di uscire da situazioni senza via di fuga? È veramente il modo corretto di portarsi fuori da certi frangenti?

Vorrei che queste poche domande vi facessero riflettere.

La più grande differenza fra il forte e il debole è che il forte si sacrifica, il debole rinuncia.