Aspetta…aspetta…regolo F aumento il tempo di scatto, l’esposimetro
sta a +0.3 iso 400…aspetta…aspetta…
Click.
In una frazione di secondo, 1/500 o anche meno, una immagine
è impressa su un sensore, e quasi istantaneamente compare davanti ai nostri
occhi attraverso uno schermo lcd.
Pensate, pensate se le tanto amate "ciribiribì" Kodak da 24
scatti o 36 ( che poi erano sempre un po’ di più) ci avessero permesso tanto
nel piccolo spazio del loro giallo.
Pensate se i rullini fossero ancora tra noi: quante foto in
meno di aperitivi avremmo, quante macro di olive in meno avremmo, quante meno
sfocature, quanti meno tentativi di cogliere un attimo avremmo.
Forse è anche per questo che prima non sentivo il bisogno
della fotografia. Mi mancava il brivido dell’istante, la vedevo come qualcosa
relegata ad un momento posato o atteso troppo a lungo, troppo poco spontaneo…poi
la magia del digitale ha cambiato tutto, ma soprattutto la consapevolezza che
davanti ai nostri occhi ogni giorno si presentano dei veri e propri quadri che
meriterebbero di essere impressi.
Eh si, lo meriterebbero proprio! E allora fate largo alla
luce, fatela passare, lasciate che scriva, che firmi il sensore così come
firmava lo splendido rullino, lasciate che i fotoni ci bombardino, lasciateli
costruire un ricordo in forma binaria! Immagazzinate, trattenete, fermate quell’istante
che altrimenti passerebbe come fosse nulla… meravigliatevi dei teli azzurri che
l’acqua di una cascata tesse con i lunghi tempi di posa, indagate l’infinitamente
piccolo con i macro-obiettivi, lasciate che sia la vostra curiosità a chiudere
il diaframma e l’otturatore, perché il bisogno di fotografia, di un certo tipo
di fotografia non nasce ai compleanni in casa. Nasce dalla voglia di vedere il
mondo da un altro punto di vista, nasce dalla volontà di fermare istanti rapidissimi
che la meccanica del nostro essere non potrebbe fissare, ma l’infinità della
nostra mente potrebbe immaginare, dalla fame di sapere cosa sta accadendo in
quel preciso istante, dalla bramosia di possedere un momento irripetibile.
Il fotografo, in fin dei conti, non è nient’altro che un
collezionista di attimi.
Largo allora al roteare delle ghiere come fossero tamburi di
rivoltella, pronti allo “shoot” fotografico (simpatico che il verbo sia lo
stesso dello sparare, e a tal proposito vi rimando al bellissimo aneddoto della
Marylin sparata di Warhol) che non uccide il momento, ma lo fa vostro, con i
vostri occhi, con il vostro angolo, con i vostri tempi e aperture e
esposizioni. Perché, in fondo, la fotografia è un altro modo di estendere la
propria anima oltre i confini del corpo, ma in un certo senso è un
rappresentarla con ciò che ci circonda, è darle forma così come si fa con la
scrittura. Le lettere diventano pixel e fotoni, l’errore si corregge in
revisione, ma se rimane conserva il fascino dell’emotività della composizione
di getto.
Ben venga, ben venga la foto corretta in modo stilistica,
quella che lascia scrivere la luce.
A noi piace quella i cui autori siamo noi.
Say cheeeese!