venerdì 28 marzo 2014

Il pistacchio lo assaggio da te

Oggi pomeriggio mi trovavo in una gelateria e aspettavo che la signora preparasse il frappè al pistacchio che le avevo chiesto.
Di fronte a me vi era una coppia molta anziana dai capelli bianchi come la neve fresca.
Attendevano il loro turno in silenzio torcendo il collo per scrutare i gusti disponibili. Il tutto con le spalle attaccate, stavano vicini vicini.
Lui, con un filo di voce, "Un cono piccolo, con pistacchio e cremino, per cortesia".
Lei, sorridendogli, "Il pistacchio lo assaggio da te. A me da un con piccolo con stracciatella e tiramisù, grazie".

In tutto questo non avevano mai smesso di tenersi per mano.

Io sorridevo... ed il mio frappè era pronto...







giovedì 27 marzo 2014

BSOL : Blue Screen Of Love

“And the Oscar goes to…”

La frase magica, quella di una vita. Quella che suona come il fischio finale dell’arbitro nell’ultima partita di un mondiale, che luccica come il display che fa brillare un nuovo record. Un titolo, un nome, qualcosa scritto sull’unico libro che non brucia, che aumenta ogni giorno di volume: il tempo.
Storie belle, bellissime, a volte no. Opere d’arte, non comprese da tutti, ma d’altronde se tutti capissero tutto non ci sarebbe nulla da studiare…

“And the winner is…”

Il tuo nome, il tuo lavoro. Ogni goccia del tuo sudore prende un peso particolare. Ogni lacrima, ogni stilla di sangue buttata in nome di una idea; perché sì, ci credi, è quella giusta! È il giusto modo di interpretare, sono le giuste luci, i costumi perfetti, le battute migliori, il suono più paradisiaco.
È la giusta forza, il giusto effetto, la partenza esatta, la curva più spinta…

“Thank you, grazie, merci, Danke”

Sì sono io, sono sulla cima dell’Olimpo, “sono il re del mondo!” come Di Caprio sul Titanic. Sofferenza, dolori, insonnia…

Pensare, pensare, pensare…

Adesso sognare. Solo realtà.

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Queste poche righe sono per me l’idea della vittoria, la giusta introduzione per fare un po’ di sano spoiler- commento su un film che ha portato a casa una statuetta.
No, non vi parlerò della Grande Bellezza ( o almeno non ora ), ma dato il mio essere romantico vi parlerò di un altro dei film al centro dell’attenzione.
Dai, un po’ di sano spoiler va bene, se non altro perché vi aiuterà ad apprezzare meglio il film se non lo avete visto ancora, o a capirlo se già avete avuto questa fortuna.
Vi parlo di “HER”, o “LEI” in versione italiana, con protagonista un grandissimo Phoenix.
Prima di introdurvi alla mia visione del film, vi riporto alcune critiche che girano on line:
“Un film violento, violento contro lo spettatore”. The Guardian.

“Oscar alla Grande Bellezza, ecco perché”. Le Monde.

“Miglior sceneggiatura originale, ma ad Aldo un decennio fa piaceva il TomTom”. Il Corriere della Sera.

“Siri vaffanculo, il film”. The Japan Times.

“Purtroppo solo fantascienza, il sogno di spegnere la fidanzata”. Focus.

“Un film blasfemo, la cover deve coprire tutto tranne la fotocamera”. Al Jazeera.

“3 attori e 4 doppiatori, i nuovi colossal low-cost”. Financial Times.


Ecco quello che gira su internet. Qualcuno diceva “nel bene o nel male, purchè se ne parli”, ed è una frase giustissima (giusto un po’ meno il comportamento di chi la diceva, ma lasciamo stare…) per il caso. Ma io vi offro la mia visione del film o, meglio, della storia d’amore che è al centro del film.
Nella vita reale non tutte le storie durano in eterno, finiscono anche dopo molto tempo, e quasi sempre uno dei due è ancora molto innamorato. Una storia importante inevitabilmente prende il posto di gran parte dei neuroni che abbiamo nel cervello, e si impianta lì rimanendo in testa per molto. Una mosca, o meglio una falla che si cerca di tappare subito per evitare che ne esca fuori sofferenza. Immaginate di riempire un palloncino, di esservi sforzati davvero tanto e poi puff, un forellino o un buco vero e proprio che lo fa sgonfiare. La prima cosa che si cerca è scotch, nastro di qualsiasi natura, e il palloncino si tappa.
Ma non è più lo stesso palloncino.
Nastro su nastro, colla, l’aria non esce, ma il palloncino non è più lo stesso, e prima o poi dovremo buttarlo.
Ecco, per tappare la falla dalla quale uscirebbe sofferenza in forma di ricordi si cerca la forma più semplice e immediata di contatto, nonché la più forte: il contatto corporeo, che coincide con la sessualità nel caso dell’amore.
Poco importa chi o che cosa, brutta o bella: la questione fondamentale è il contatto. Ed ecco che la corporalità, o meglio la considerazione del corpo scompare, si abbandona l’importanza dell’apparenza in favore della ricerca del piacere personale. E quando ad una persona togli il corpo, resta l’anima o, nel caso di contatto di tipo sessuale, la voce. Ecco perché si cerca la voce amica al telefono, o ecco perché la fase successiva è la voce amica che esce da un computer.
Ma cosa succede se la voce amica inizia a stimolarci? Cosa succede se quella voce inizia, in modo figurativo ,a scoprire pian piano quel cerotto che copriva tutto? Inizia ad uscire fuori il ricordo, ma il ricordo che fluisce piano piano non diventa depressione o nostalgia, ma si trasforma in stato d’animo. Se pensate ad un disastro nella sua interezza sentite tristezza e sconforto immediatamente, ma se lo pensate attimo per attimo ciò che succede è che l’ansia inizia a salire… ciò che istantaneamente arriverebbe in testa in modo immediato parte lentamente dal cuore.
Ecco cosa succede.
Se ci piace l’anima di una persona, ecco che la corporalità non diventa importante. E quale è il modo migliore per rendere partecipi gli altri della nostra anima? La voce.
La situazione da fotografare è questa: lui, fuori da una storia, che cerca di ricominciare lentamente; lei, nuova, che cerca di cominciare. Lui che dice arrivederci alla corporalità, lei che non ancora la conosce…
Si incrociano. Si seguono. Crescono insieme, ma lei più rapidamente. Si potrebbe quasi dire che l’elettronica si scalda più rapidamente del cuore umano, volendo passare ad un commento tipo leggi di trasmissione del calore, ma non lo diciamo ;) .
Ed ecco che cosa succede. Si trovano ad uno stesso livello, ma da due parti opposte, come su una gaussiana il cui picco è l’amore fisico. Lei sale rapidamente, ed arriva alla spasmodica ricerca del contatto fisico.



Lui, che arriva a questo nuovo amore dopo la sessualità, è più lento nella risalita, perché per inerzia è portato a cercare un tipo di amore che lo soddisfi spiritualmente.
Quando lei si trova sulla sommità, quando arriva a “imporre” il contatto fisico lui cerca questa risalita, ma l’inerzia del rapporto dal suo punto di vista fa sì che non ci riesca. Ci prova, cerca di nuovo la pura corporalità, ma quando l’amore vince nel suo animo egli cerca di legare la corporalità all’animo della persona che ama, e che non è quella che ha davanti. Ed è qui, davanti a due bisogni che non vanno d’accordo l’uno con l’altro, che si rovina il rapporto.
Le fasi finali, per i due protagonisti, sono completamente diverse. Lui, l’uomo, sente il sentimento della gelosia. Lei, la macchina, sente il sentimento dello “sharing”, che non ammette gelosia. Se chi amiamo ci dice di stare bene con altre 10000 persone, nessuno di noi si sente unico e abbandona la persona amata. Moltiplicate questo gesto per  10000 e avete la chiusura del sistema operativo dell’anima, che non si sente più amata da nessuno e per questo non ha ragione di esistere. Il sistema operativo esiste se c’è qualcuno a dargli l’imprinting, ma se lo abbandoniamo e non lo alimentiamo più con i nostri stati d’animo allora muore.
Ed ecco che ci ritroviamo soli, ma colleghi di sofferenza con chi ha passato le nostre stesse avventure, e che può offrirci un abbraccio, un contatto fisico unito ad un sentimento, un qualcosa che non presenti differenziazione fra contenitore e contenuto, il giusto punto di partenza per tornare ad innamorarsi di nuovo di una persona vera.


Questa è stata la mia visione del film. E la vostra?




martedì 18 marzo 2014

Questione di tempo


Qualche giorno fa è stato il mio compleanno. 
Non sono mai "felice" il giorno del mio compleanno, sono quasi sempre assorto in centinaia di pensieri e questa cosa mi capita da sempre. Divento nostalgico ed eccessivamente riflessivo. Non avrei quasi voglia di festeggiare. Inizio a girovagare indefinitivamente con il pensiero, per tutto il giorno. Ripenso ai compleanni passati, alle persone che hanno festeggiato con me, ai cambiamenti che ci son stati tra un compleanno e l'altro.

La verità, conosciuta da tutti. è che viviamo in un Universo quadridimensionale, il cosiddetto spaziotempo. Come il nome stesso afferma, ci sono le tre dimensioni spaziali, lunghezza, larghezza e profondità, ed il tempo.
Man mano che cresciamo iniziamo a prendere confidenza con queste dimensioni. Dapprima ci vengono posti problemi monodimensionali. Uno dei primi problemini matematici che ricordo, posto forse in prima elementare dalla maestra, è quello della lumaca e del palo: "una lumaca cerca di salire un palo alto 5 metri; di giorno sale 3 metri, mentre di notte scende 2 metri. Quanto tempo impiega a raggiungere la cima del palo?".
Successivamente, siamo passati ai problemi in due dimensioni. Ricordo ancora un giochino che ci pose il Professore di Disegno alle Medie: "C'è un prato ricoperto di fiori. Ogni giorno, la superficie del prato ricoperta dai fiori raddoppia. Se il prato viene ricoperto interamente da fiori in 9 giorni, quanti giorni hanno impiegato i fiori a ricoprire metà del prato?"
E poi, ovviamente, siamo stati educati ai problemi spaziali, dal calcolo dei volumi delle figure geometriche più conosciute, come il cubo e la sfera.. ai problemi inerenti la densità dei corpi. 
Celebre la domanda di un Professore: "Signorina, lei, al mercato, acquista l'olio dove si vende a 6 euro al kilo oppure dove si vende 6 euro al litro?"

Con la crescita però ci rendiamo conto che la dimensione più importante tra le quattro espresse sopra, è il tempo.
Da piccoli non ci ritroviamo quasi mai a confrontarci con esso. Quasi non lo percepiamo. Poi cresciamo e iniziamo a conoscerlo,  comprenderlo,  valutarlo e valorizzarlo. Cresciamo e diventiamo autonomi, quindi possiamo scegliere (quasi sempre) dove vivere. Possiamo scegliere latitudine, longitudine e altitudine. Ma non abbiamo alcun potere sul tempo. Commettiamo lo stupido errore di sprecarlo e lo facciamo in innumerevoli modi. A volte siamo troppo nostalgici riguardo i tempi passati. Si dice che chi vive di ricordi non abbia un futuro. Concordo ma non pienamente; se si hanno dei bei ricordi è giusto tirarli fuori ogni tanto e riviverli con le persone che ne fanno parte. Altre volte ci preoccupiamo troppo per il futuro, magari ponendoci dei limiti.
Mark Twain diceva: " Tra vent'anni non sarete delusi delle cose che avete fatto ma da quelle che non avete fatto. Allora levate l'ancora, abbandonate i porti sicuri, catturate il vento nelle vostre vele. Esplorate. Sognate. Scoprite."
Spesso sprechiamo il nostro tempo condividendolo con persone che non lo meritano, e ci rendiamo conto che avremmo potuto dedicarci ad altre. Altre volte lo sprechiamo non facendo proprio nulla.
Quante volte ci è capitato di pensare: "Ah, se solo potessi tornare indietro", oppure, "se solo avessi potuto fermare il tempo in quell'istante"...
Non possiamo fare nulla di tutto questo. Non possiamo controllare il tempo. Esso scorre inesorabilmente per tutti ed una volta trascorso non torna più indietro.

Prima comprendiamo questo semplice e banale concetto e prima inizieremo a Vivere. Ma non vivere come facciamo di solito, travolti dalla "quotidianità", dalle "responsabilità, dagli "impegni".. dai ritmi frenetici che la società ci impone.
Inizieremo ad assaporare ogni momento trascorso con la famiglia, con gli amici o con dei semplici conoscenti, come se fosse irripetibile, quindi unico. Perchè poi, quel momento, a guardare bene, è irripetibile.
Cercheremo di guardare con meraviglia qualsiasi meandro della città, quella piazzetta non frequentata mai da nessuno ma che per te ha un clima surreale o magari cercando di scrutare dietro quel portone o cancello di fronte al quale passiamo ogni giorno, dietro potrebbe esservi nascosto un meraviglioso giardino.

Cercheremo di non mancare a nessun pranzo di famiglia e a nessuna cena tra amici, o comunque di viverla sempre con estrema gioia. Ameremo ogni alba ed ogni tramonto. Apprezzeremo ogni passeggiata lungo mare, sia essa d'inverno oppure d'estate e ogni corsetta per le vie della nostra città. Non perderemo tempo nel far cose che non ci piacciono e con le quali non esprimiamo le nostre vere potenzialità. Rideremo sempre e comunque. Non saremo timidi nel dare un abbraccio alle persone cui vogliamo bene o nell'esprimere i nostri sentimenti.. potrei continuare all'infinito con gli esempi ma basterebbe dire che non sprecheremo il nostro tempo.

Il tempo non si può fermare, non lo si può far tornare indietro. Esso procede in un unico verso. E la verità, come sappiamo, è che potrebbe stopparsi in qualsiasi istante.
Credo che una volta compreso questo concetto, ultra semplice ed enormemente complesso al tempo stesso, inizieremo realmente a Vivere (e forse a scattare fotografie)

Il tempo scorre sempre, secondo dopo secondo, indipendentemente da latitudine, longitudine e altitudine e non possiamo e dobbiamo dimenticarlo.



lunedì 3 marzo 2014

Banalità - Il mio secondo post.

Prima di parlare del mio secondo post non posso non parlare del mio primo post su questo blog. Risale a circa 8 mesi fa. Molti di voi nemmeno mi conosceranno, perché la mia assenza/falsa presenza è stata un po’ la costante in tutti questi mesi. Mi rimane difficile trovare l’ispirazione, certe notti (non quelle di Ligabue) c’ho provato seriamente a scrivere qualcosa ma l’unica cosa che mi passava in mente era una banalità anche peggiore di queste 4 righe buttate giu’ finora. A me la banalità non piace. Aspettate, non sempre. Diciamo che qualche volta è necessario parlare, dire, scrivere banalità. Molte persone vivono di banalità e lasciano che la loro esistenza sia segnata da questa caratteristica e preferiscono o non sanno come lasciare il segno. Già, lasciare un segno. Vi chiedo cosa significa per voi lasciare il segno. Mi è venuta in mente di colpo un’immagine tratta dal film 21, nel quale il protagonista Ben Campbell consegna la sua domanda di borsa di studio per la Harvard Medical School e il preside (o qualcosa del genere) gli dice che quella borsa viene assegnata a qualcuno che “strega”, a qualcuno che salta subito agli occhi. (vi consiglio di vedervi il film se non l’avete già fatto). Cosa significa per voi saltare subito agli occhi? Che tipo di persone vi colpiscono positivamente e quali negativamente? Una massima a me cara è questa:

“Non c'è mai una seconda occasione per fare una buona impressione la prima volta”

I primi link di Google l’attribuiscono ad Oscar Wilde, come il 99,7% altre citazioni che rimbalzano sul web, Facebook etc.  Per me la prima impressione che ho su una persona conta tantissimo. Eppure, se ci pensate bene,  i rapporti cominciano sempre da una banalità, da una affermazione banale, da una presentazione banale e poi, a seconda delle persone coinvolte, evolvono in una direzione piuttosto che in un’altra. Dipende da noi decidere quanto banale deve essere la nostra banalità (concedetemi questa affermazione tautologica e anche un po’ “marzulla”). Paolo Villaggio, nell’introduzione del libro “Fantozzi” (ne conservo una copia nel bagno per una lettura e una dose di autostima mattutina) parla della sua capacità di ricondurre qualsiasi discorso sempre sui soliti 5 argomenti “collaudati”, tanto da intrappolare salotti romani, tavolate di ristoranti milanesi alla moda etc. Per Villaggio, i 5 argomenti collaudati erano “il passaggio dal socialismo al comunismo, nuovi esempi di cinema underground americano, il secolo di Luigi XIV, magia e ipnotismo, sud-est asiatico”.  Chi di noi non ha un argomento collaudato? Tutti ce l’abbiamo (spero). E’ un po’ come l’argomento a piacere all’esame dell’università preparato il giorno prima. Ci sono cose di cui preferiremmo parlare e di cui magari riusciamo a dare anche l’idea di essere tra i più grandi esperti in circolazione. I miei argomenti collaudati sono sostanzialmente la musica e il doppiaggio e mi piacerebbe tanto collaudare anche la fotografia. Queste cose provocano in me qualcosa di bello e di fortemente personale, suscitando delle emozioni che poi si traducono nel desiderio di condividere con gli altri la bellezza che io riesco a trovarci. Allora vorrei rivedere con voi l’idea di banalità, correggendola a valle delle considerazioni e di ciò che ne è appena venuto fuori. Cos’è la banalità? La banalità è una qualunque cosa priva di emozioni, di alcun sentimento (positivo o negativo che sia), qualsiasi cosa che nasce e muore nello stesso momento, qualcosa che non è sopravvive a sé stesso, qualcosa che non verrà mai più ricordato e ripensato. La banalità è indifferenza verso ogni situazione, che sia un sorriso, un “ciao”, uno sguardo. I piccoli gesti, quelli semplici, quelli più comuni (quelli che dovrebbero essere più spontanei) sono quelli che rischiano di più di essere sommersi dalla banalità. E se penso a come evitare di cadere in questo turbine di banalità, penso ai miei amici, all’ultimo giovedi in cui ci siamo divertiti insieme e al modo che abbiamo in comune di vedere la vita… e mi viene in mente una frase di una canzone di Lucio Dalla:

“cosa sarà che ci fa lasciare la bicicletta sul muro e camminare la sera con un amico a parlare del futuro”



E anche se questa frase allude ad un’immagine di amicizia un po’ vecchia, quasi abitudinaria, la cosa più sbagliata che si possa pensare è che essa sia semplicemente “banale”.